Bergamo, prove tecniche di radicalismo di massa

Ritratto politico-ideologico del sindaco Giorgio Gori

Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori

Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori

Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:07 pm

Quanto sta succedendo a Bergamo è da manuale. Una delle città più cattoliche dell’Italia settentrionale, fatta di gente semplice e laboriosa, diventata un modello di sviluppo all’insegna di sussidiarietà e princìpi sani, è oggi l’epicentro di un terremoto antropologico. Nel capoluogo orobico sono infatti in corso quelle che altro non sono se non prove tecniche di radicalismo di massa.

La censura alla campagna contro la RU486 di Pro Vita & Famiglia messa in atto dal sindaco Giorgio Gori è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi. Tutto si è consumato nel giro di una manciata di ore fra giovedì 10 e venerdì 11 dicembre. Nella diffida indirizzata all’agenzia Abaco, responsabile delle affissioni, Gori ha accusato pubblicamente Pro Vita & Famiglia di diffondere fake news: il farmaco Mifegyne a base di mifepristone noto come RU486 sarebbe un «medicinale comunemente utilizzato nella pratica medica il cui utilizzo è assentito dalla competente autorità pubblica», ovvero dall’Agenzia Italiana per il Farmaco. Ovvero non farebbe male.

Femministe aggressive

Ora, l’impulso alla rimozione dei cartelli è arrivato a Gori dalla parlamentare del Partito Democratico Elena Carnevali (molto chiacchierata durante la campagna elettorale delle politiche 2018 per avere coinvolto dei migranti nell’imbustamento dei volantini elettorali) e dal consigliere regionale Niccolò Carretta, eletto nella Lista Gori e oggi militante in Azione. «Il sindaco dice di avere fatto togliere i manifesti di Pro Vita & Famiglia perché creavano allarme sociale», dichiara Filippo Bianchi, consigliere comunale della Lega a Bergamo, ad “iFamNews”. «Invece questo allarme lo ha creato la sua parte politica: nessun cittadino si era lamentato prima, anzi, a dirla tutta, i manifesti non erano praticamente ancora stati notati».

Intanto, però, le femministe di «Non una di meno», gridando allo scandalo, hanno postato le immagini dei manifesti coperti da propri “commenti”. E i loro post sono stati poi ripresi dai giornali e condivisi dai rappresentanti del Centrosinistra bergamasco. «Paradossalmente hanno fatto pubblicità a una causa pro life», chiosa Bianchi.

Bergamo Sex

Sia come sia, l’inverno scorso la giunta Gori è stata interrogata dall’opposizione per l’affissione dei manifesti da rivista hard a promozione della kermesse «Bergamo Sex», vera e propria fiera della pornografia, ovvero di un fenomeno che in Italia è sempre più diffuso e inquietante. Colta visibilmente in contropiede, l’assessore alle Pari Opportunità, Marzia Marchesi, demandò all’epoca la valutazione del caso al Consiglio delle Donne istituito in Comune, ma sostanzialmente la vicenda finì in una bolla di sapone.

Gori, verso la fine del proprio primo mandato da sindaco, tentò, senza successo, la corsa al Pirellone. In qualità di candidato governatore, l’ex dirigente Mediaset promise aborti più facili in Lombardia e lamentò il presunto strapotere dei medici obiettori. Nessuna meraviglia, dunque, se, sotto la sua amministrazione, tutte le iniziative pro life vengono regolarmente neutralizzate. Persino i finanziamenti al «Progetto Gemma» del Movimento per la Vita e la promozione gratuita dell’iniziativa «Culle per la vita» non sono mai stati discussi in Consiglio comunale.

La polizia

È attesa poi in questi giorni la pronuncia della Prefettura sul ricorso dell’associazione «Ora et Labora in Difesa della Vita» (di cui il leghista Bianchi è coordinatore a Bergamo) contro il divieto di volantinaggio imposto a essa dalla Questura. Fino a sei mesi fa l’associazione organizzava regolarmente raduni ogni martedì davanti all’ospedale Papa Giovanni XXIII, ma alla fine di giugno, ai militanti pro life è stato impedito di distribuire manifestini e pieghevoli. C’erano infatti le femministe di «Non una di meno» con insulti e minacce. Pur essendo la manifestazione autorizzata, c’erano pure camionette e una trentina di uomini delle forze dell’ordine tra vigili, polizia, carabinieri e addirittura la Digos. «In teoria avremmo dovuto essere noi a chiamare le forze dell’ordine per farci proteggere dalle femministe che ci aggredivano», rievoca Bianchi. «Per anni abbiamo vissuto di rapporti cordialissimi con i poliziotti che venivano sempre a chiederci se andasse tutto bene e che si mostravano scrupolosi nel vigilare sul libero svolgimento della nostra attività. Stavolta, però, volevano multarci. Abbiamo quindi fatto ricorso ai primi di agosto, ma ancora non abbiamo avuto risposta». Ovviamente Gori è sempre stato favorevole alle iniziative LGBT+, a partire dal «Bergamo Pride», lautamente finanziato nel 2019.

Image source: Giorgio Gori, photo by Gianfranco Rota from Wikimedia Commons, self-published work, licensed by CC-BY-SA-4.0

Exit mobile version