Apologia dell’home-schooling

E della Costituzione, che riconosce la verità della natura umana colta nella sua funzione genitoriale

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Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:06 am

Tra noi, diciamocelo. Quello autorizzato ora in Lituania non è vero home-schooling. Cioè, lo è sì, ma perché coincide con le misure restrittive che il governo di Vilnius sta adottando a fronte del coronavirus. Insomma, lo è di fatto, ma non di principio. In Lituania, infatti, emergenza coronavirus a parte, l’home-schooling è illegale. Per ciò la notizia di questa breccia che ora si apre nel Paese baltico è d’oro. Bisognerà poi vedere cosa succederà una volta che l’emergenza CoViD-19 sarà alle spalle: Vilnius si rimangerà il permesso al sorvegliato speciale home-schooling o varrà un silenzio assenso per usucapione? Perché il diritto all’home-schooling è un bene primario.

Lo è perché è una delle forme concrete attraverso cui si esplica la sovranità della famiglia, perché onora il principio della libertà di educazione, perché spodesta espressioni dispotiche come «scuola dell’obbligo» e perché detronizza il Grande Fratello altrimenti detto Stato.

L’insegnamento è libero

Nell’home-schooling i membri adulti della famiglia sono infatti i tutori e gli inseganti dei minori, e questo è il punto nodale, dirimente, discriminante. Cioè virtuoso. La “scuola domiciliare” può svolgersi in ambito domestico in senso stretto oppure mediante realtà organizzate in forma di libere associazioni di famiglie che ingaggino docenti (esterni o interni a quelle famiglie), ma questi sono “dettagli” organizzativi a seconda dei contesti, delle decisioni assunte appunto dalle famiglie e così via. Resta sempre in capo a tutto il punto centrale: la famiglia padrona di se stessa.

Sì, lo so «la famiglia padrona di se stessa» è un’espressione molto, molto forte. Per questo il suo senso è vidimato dalla Costituzione italiana, che con l’Articolo 30, comma 1, afferma: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli» (persino «[…] se nati fuori del matrimonio») e all’Articolo 33, comma 1, ribadisce: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» (in una pluralità di forme). Infatti, che l’Articolo 33, comma 2, affermi pure: «La Repubblica […] istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi» non osta affatto. Non sta infatti scritto che la repubblica istituisca scuole statali per tutti gli ordini e gradi come forma unica ed esclusiva di istruzione: dice semplicemente che lo fa. Tant’è che, sempre l’Articolo 33, comma 3, dice: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione».

Scuola e istruzione

Decisiva qui è la distinzione fra scuola e istruzione: sono l’istruzione e l’educazione il dovere e il diritto dei genitori, non il modo concreto, storico e contingente, in cui i genitori garantiscono istruzione ed educazione. Quel modo può essere la scuola nel senso fisico del termine o altro. E la scuola nel senso fisico del termine può essere quella pubblica statale, quella pubblica paritaria, quella privata e quella domestica, a propria volta nelle sue varie organizzazioni concrete.

Non faccio il costituzionalista, ma è qui che personalmente scorgo un’ambiguità nella citata norma dell’Articolo 33, comma 2: «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Cosa significa che «detta le norme generali sull’istruzione»? Significa che stabilisce criteri oppure che costringe l’istruzione a coincidere con la scuola, magari pure con la sola scuola pubblica statale forzando la mano allo stesso Articolo 33, comma 3?

Consideriamo il primo caso, quello relativo ai criteri. In realtà, più che stabilirli, la repubblica li riconosce. Riconoscerli significa che quei criteri precedono, cronologicamente e logicamente, la repubblica stessa. Lo fa già la Costituzione, quando dice: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli» (Art. 30, c1). Questa frase, felicemente laconica, enuncia un fatto. In alcun nessuno la Costituzione scrive che è la Costituzione sia la fonte di quel diritto e di quel dovere. Riconosce piuttosto dell’esistente: il fatto che i genitori abbiano il dovere e il diritto di mantenere, di istruire e di educare i figli appartiene alla definizione e al compito stessi dei genitori, diciamo alla loro natura, alla natura dell’essere umano colto nella funzione di genitore. Se non fosse così, la Costituzione avrebbe speso almeno qualche parola per rintracciare e per ricordare l’origine di quel diritto e di quel dovere. Invece no, giacché le verità di per sé evidenti non ha bisogno di spiegazioni, a meno di tautologie ridondanti.

Per di più, dove altro la Costituzione pescherebbe se non nella natura umana a se precedente, che essa riconosce, l’idea che i genitori, oltre che il diritto, abbiano pure il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli? Se la fonte fosse altra rispetto alla natura umana colta nella funzione specifica di genitore, e dunque posteriore alla natura stessa della persona umana, sarebbe stato necessario esplicitarlo: non si può infatti affermare che qualcuno abbia un dovere se su ciò non vi è consenso unanime (ancorché momentaneamente dimenticato e quindi bisognoso di un pro memoria). Affermare infatti che qualcuno abbia un dovere non derivante dalla sua natura umana senza legittimazioni ulteriori configurerebbe un’imposizione tirannica.

Si noti del resto che la Costituzione non dice in alcun luogo che sia dovere e diritto dello Stato, della stampa, della televisione, del centro sociale, della movida o della strada mantenere, istruire ed educare i figli. Dato che certamente tutto istruisce e tutto educa (anche se solo alcune cose mantengono), e nonostante una cosa sia istruire e un’altra educare, questo principio sacrosanto riconosciuto dalla Costituzione tratta con ogni evidenza, e da qui trae la propria grande forza, di un imprinting sorgivo.

Senza oneri per le famiglie

C’è poi l’Articolo 34 della Costituzione, comma 2: «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita». Dicendo qui «istruzione» e non «scuola» (il termine «scuola» è usato nel comma 1 in modo tale da distinguersi esplicitamente dal termine «istruzione» usato appunto nel comma 2), la Costituzione rafforza le considerazioni finora svolte. Dicendo «obbligatoria», la Costituzione fa ancora riferimento al dovere insito nella natura della persona umana colta nella funzione genitoriale, anche se si sarebbe potuto scegliere un termine meno antipatico oltre che ribadente l’ovvio. Ma dicendo «gratuita» cosa intende dire? L’istruzione costa sempre: costa se domestica, se affidata a una famiglia di famiglie, se demandata a una scuola privata, se offerta da una scuola pubblica non statale o se impartita da una scuola pubblica statale. Costa alle famiglie. Perché allora non lasciarle sempre pienamente libere di spendere il proprio denaro come meglio reputano, esattamente come dice la Costituzione italiana?

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