Amazon filoabortista. Magari fosse una sòla, e la sola

4mila dollari alle dipendenti per sopprimere i propri bimbi. Ma i lavoratori delle multinazionali finanziano i candidati pro-life

Jeff Bezos

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La notizia ha subito fatto il giro del mondo e pour cause. La cosiddetta «assistenza sanitaria riproduttiva» viene sostenuta apertamente da Amazon, una delle multinazionali più politicamente corrette e più ricche che esistano.

Date, negli Stati Uniti d’America, le crescenti misure restrittive contro l’aborto là dove governano i Repubblicani, Texas in primis, se una dipendente di Amazon abita in uno Stato pro-life e vuole abortire, l’azienda ne copre le spese di viaggio in un altro Stato dove l’aborto è più libero. Il benefit riguarda sia le donne che lavorano in Amazon sia i loro mariti o compagni oppure, viceversa, i dipendenti che accompagnino le mogli o compagne ad abortire.

Amazon mette quindi a disposizione fino a 4mila dollari per ogni dipendente che vada assitita nel sopprimere la creatura che una mamma che fosse impiegata nei reparti di Bezos porta in grembo.

Ora, se qualcuno si meraviglia sbaglia. Purtroppo. Le politiche antinataliste sono infatti un principio perfettamente coerente con l’impronta che Jeff Bezos ha voluto dare al colosso di cui è il deus ex machina. E infatti MacKenzie Scott, la ex (da poco) moglie di Bezos, è nota per essere una delle più generose benefattrici della Planned Parenthood.

La sorpresa dei dipendenti pro-life

Ma Amazon non è sola. Altre aziende come Yelp e Citigroup annunciano misure analoghe sulla scia di quanto la Corte Suprema federale è sul punto di decidere, ovvero il ribaltamento della sentenza che nel 1973 concluse il caso Roe vs Wade che dichiarò l’aborto non-illegale in tutto il Paese: le legislazioni sull’aborto torneranno di pertinenza esclusiva dei singoli Stati, che potranno finanche disporne l’abolizione. Lo stesso fa Match.com, intenzionata a istituire un fondo per le dipendenti texane che vogliano abortire fuori dal «Lone State». E il gigante del software cloud Salesforce si spinge ancora più in là, proponendosi di aiutare i dipendenti addirittura a trasferire la propria residenza fuori dal Texas.

Il diavolo, però, fa le pentole e non i coperchi. Infatti il registro delle donazioni per ragioni politiche tenuto da Open Secrets mostra che la maggior parte dei dipendenti di queste grandi aziende sono finanziatori del Partito Repubblicano e delle sue politiche pro-life. Alle elezioni del 2020 oltre il 72% delle donazioni elargite da dipendenti di Amazon è andato a candidati Repubblicani al Senato.

Ben 10mila dollari sono stati destinati, per esempio, all’ex senatore del Colorado Cory Gardner, che, a più riprese, si è battuto per la negazione di fondi federali alla Planned Parenthood.

Dai dipendenti di Yelp e di Match Group, invece, sono arrivati 5mila dollari cadauno per la campagna del Procuratore generale della Louisiana, Jeff Landry, uno dei più convinti sostenitori della necessità di smantellare la sentenza Roe vs Wade.

«Non cederò mai nella mia battaglia per la difesa dei bimbi non ancora nati», ha dichiarato l’estate scorsa Landry, annunciando il proprio sostegno alla proposta di legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo la quindicesima settimana di vita del bimbo nel grembo materno. «Sosterrò il diritto di uno Stato di proteggere i bambini non nati e le loro mamme», ha aggiunto.

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