Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:10 pm
Ciò che si legge sul sito web de La Leche League International (LLLI) a proposito dell’allattamento «al petto» da parte di genitori transgender o «non binari» solleva domande interessanti. E già la definizione «chestfeed», per l’appunto “allattamento al petto”, essendo un uomo sprovvisto di seno, pur provvisto di mammelle, è significativa se non strumentale. “iFamNews” ha chiesto a una specialista di fare il punto
Fin dal primo istante di vita lo zigote manda alla madre dei segnali. La madre non sa ancora di essere in «stato interessante»: espressione ottima, che, pur desueta, è di grande caratura morale per dire che il corpo della mamma e quello della creatura comunicano già. Il corpo materno, che potrebbe rifiutare l’impianto tramite le cosiddette «cellule natural killer», abbassa le difese immunitarie. Vi è un dialogo tra due sistemi vitali che mirano entrambi a sopravvivere, relazionandosi. Il microchimerismo, cioè, avviene «quando il materiale genetico e le cellule vengono scambiati in modo bidirezionale tra il feto e la madre» ed è una correlazione attiva.
In principio fu la madre
Durante la gravidanza questo dialogo prosegue costantemente, poiché la madre trasmette al figlio informazioni su cui poi si baserà la relazione di attaccamento una volta che il figlio sia venuto al mondo. Il fatto che la madre sia fondamentale per lo sviluppo del figlio durante l’endogestazione (cioè i nove mesi che il bambino trascorre nel ventre materno) è dimostrata ampiamente dallo studio dei neonati che sfortunatamente vengono al mondo prima del nono mese: per il bambino il corpo della madre è “l’ospedale” migliore, tanto che la «Kangaroo Mother Care» (la terapia “del canguro” con cui la donna tiene il piccolo nato pretermine a contatto con il proprio corpo, in un abbraccio costante e vitale, talvolta dandosi il cambio, se possibile, con il padre) non solo sortisce effetti positivi misurabili scientificamente sui neonati, ma ne ha anche sui genitori che si rendono partecipi attivamente del miglioramento della salute fragile del proprio bambino.
L’allattamento materno, e quindi il contatto fisico tra la madre e il bambino pretermine, sono necessari affinché il piccolo superi la grossa crisi sistemica che potrebbe intervenire qualora la mamma tenesse il neonato lontano dal proprio corpo. E questo è certamente vero per tutti i bambini, anche per chi viene al mondo quando è pronto a farlo, fra le 37 e le 42 settimane di gravidanza.
Gli studi sull’attaccamento
Se ci sono princìpi fondamentali che stabiliscono l’importanza della relazione tra la madre e il suo bambino questi sono certamente l’attaccamento e i “modelli operativi interni”. John Bowlby (1907-1990), psicologo, medico e psicoanalista britannico, fu il primo a studiarli, dimostrando come l’attaccamento sia «l’esito di una motivazione innata nell’essere umano, presente fin dalla nascita e iscritta in noi biologicamente, […] a ricercare qualcuno al quale legarci affettivamente e che si prenda cura di noi. La finalità di questo sistema di attaccamento, quindi, è di natura evolutiva, soprattutto nell’essere umano», come si legge in 100.000 baci, l’educazione affettiva e sessuale in famiglia.
Il sistema di attaccamento si attiva nei momenti di bisogno: in caso di pericolo – come per esempio dopo la nascita e se avviene l’allontanamento dalla madre –, di fame – che per il neonato è una percezione dolorosissima di cui non viene immaginata la fine –, di dolore – si pensi alle percezioni fisiche del neonato preso in cura per la sua salute, e si ricordi il fatto che in passato i neonati venivano operati senza anestesia o analgesia, ritenendoli immaturi – oppure di sonno, la fisiologia del quale è stata riconosciuta scientificamente da poco. Su questo, informazioni attualissime le offre Sogni d’Oro. Strategie per il sonno della famiglia con un bambino allattato (pubblicato proprio da La Leche League Italia nel 2019). «In questi momenti il bambino», come scrivono Miriam Incurvati e Giovanni Petrichella, autori di 100.000 baci, l’educazione affettiva e sessuale in famiglia, «a seguito della percezione attraverso i sensi o anche solo a livello di sensazione della mancanza della figura di attaccamento, sente nascere in lui sentimenti di pericolo e di bisogno di vicinanza con chi si può prendere cura di lui».
Quando la persona verso cui il bambino ripone fiducia risponde attivamente alla richiesta (che di solito viene espressa piangendo), il sistema motivazionale dell’attaccamento si “spenge” e il bambino cambia atteggiamento (smettendo di piangere, per esempio). Questo significa che la figura cui il bambino si è “attaccato” è una sicurezza, verso la quale egli o ella si rivolge quando ha bisogno. «Sulla base, cioè», proseguono gli autori, «di come la figura di attaccamento è in grado di rispondere ai bisogni del bambino» questi si creerà un modo di relazionarsi con l’esterno (relazione con le persone e in alcune situazioni). La responsività del caregiver e la routine con cui risponde ai bisogni del bambino creano quindi l’idea che il bambino ha di sé e della persona amata: «di com’è stato capito, consolato, o al contrario incompreso, frustrato, insoddisfatto» estendendo poi anche alle altre relazioni le proprie reazioni. Nel corso della vita, il “modello operativo interno”, rimane stabile «affettivamente, rimane cioè traccia nella memoria e nella struttura della personalità adulta».
L’allattamento
Il fatto che la parola che descrive chi è chiamato a prendersi cura dei neonati e dei bambini sia caregiver non deve però confondere: il fatto che sia la madre a legarsi con il proprio bambino durante l’endogestazione e nel corso di tutto il primo anno di vita attraverso l’esogestazione dà l’idea di quanto ogni gesto che la madre compie verso il neonato sia fondamentale. E uno di questi gesti è certamente l’allattamento: gli studi informano che «una durata più lunga dell’allattamento al seno è significativamente associata a livelli più elevati di sicurezza dell’attaccamento». Questo vuol dire che la relazione, iniziata durante la gravidanza, continua dopo la nascita, divenendo il modo in cui la persona svilupperà il proprio adattamento alla vita intera.
Uno studio importante sull’argomento ha dimostrato che una donna che allatta un bambino a lungo, il che può anche significare dopo i due anni di vita, sarà più propensa a occuparsi attivamente di suo figlio anche dopo i dieci anni, e questo interessa per lo sviluppo affettivo e sessuale che l’individuo attua dopo la pubertà e nell’adolescenza. Il fatto che non solo sia il bambino a trarre benefici dalla relazione con mamma, ma che anche lei sia facilitata nel suo compito genitoriale “solo” allattando o affiancando il proprio bambino quando dorme, assecondando il suo bisogno di contatto, le fa sentire il fatto di essere necessaria, abbassando i livelli di stress.
L’allattamento fa bene
A cosa serve, nella pratica, il fatto che mamma allatti? A nutrire in modo sano, a prevenire la depressione post-parto, a risparmiare sui cibi confezionati e a fornire alla politica linee guida che non siano “anti-bambino”. Ma poi c’è molto altro.
Nel testo sul sonno edito da La Leche League citato sopra, per esempio, vi è un paragrafo iniziale fondamentale dal punto di vista antropologico: «Sia che ce ne rendiamo conto o meno, noi mamme siamo brave in quello che facciamo. Ricerche scientifiche nei più svariati campi lo confermano: vale la pena seguire l’istinto materno. Questo istinto ci ha permesso di partorire, dormire e allattare generazione dopo generazione, senza il parere degli esperti […] Poiché gli studi non possono coprire ogni situazione, dovrai fare affidamento sul tuo buonsenso e sulla comprensione dei bisogni specifici della tua famiglia. Qui entra in gioco la tua saggezza materna. […] …il tuo istinto nel rispondere al bambino e tenertelo vicino la notte è pienamente confermato dagli studi più recenti».
Questo significa che la donna, la madre, non solo è il caregiver principale che la biologia ha messo in campo per una crescita ottimale di ogni individuo che viene al mondo, ma è la fonte della salute affettiva, psicologica e sessuale di ognuno. Nell’articolo Legame affettivo e comportamento sessuale. Come lo stile di attaccamento influenza il comportamento sessuale, firmato dallo psichiatra Tonino Cantelmi e dallo psicologo Emiliano Lambiase, infatti, è presentata tutta la ricerca «sul rapporto tra stile di attaccamento e comportamento sessuale, partendo dal presupposto che il comportamento sessuale possa essere messo in atto allo scopo di regolare stati emotivi e soddisfare bisogni non primariamente sessuali che la persona non riesce a gestire diversamente. La capacità di regolare le emozioni e di soddisfare i bisogni di base si sviluppa nella prima infanzia nel corso delle dinamiche di attaccamento».
Nonostante sia lapalissiano il fatto che l’educazione del bambino e il suo adattamento alla cultura sociale non ricada tutto sulle spalle della madre, e ovviamente dipenda anche dalla sua relazione con il padre e da ciò che il bambino apprende e acquisisce dalla relazione che c’è tra madre e padre, quel gesto iniziale, quell’abbraccio attraverso il quale la madre fa sì che il bambino possa attaccarsi al suo seno, è e rimane fondamentale per l’individuo e per tutti coloro che con lui si relazioneranno.