Last updated on Settembre 2nd, 2021 at 02:06 pm
«Non si può giocare a Risiko con la vita delle persone»: sono queste le parole, amare, di Emmanuele Di Leo, presidente di Steadfast, organizzazione umanitaria italiana attiva specialmente in Africa con numerosi progetti a sostegno dello sviluppo e a difesa dei diritti umani fondamentali. Raggiunto al telefono per un’intervista, Di Leo ha condiviso con «iFamNews» l’esperienza che ha vissuto e sta vivendo, con i colleghi dell’organizzazione, nel corso di queste giornate drammatiche che per l’ennesima volta scuotono l’Afghanistan sin dalle fondamenta.
Ciò che sta accadendo in Afghanistan è noto a tutti. Il Paese, martoriato prima dall’invasione sovietica del 1979, poi dalla dominazione dei talebani a partire dal 1989, con l’invio sul territorio delle truppe statunitensi ed europee dal 2001 a oggi aveva vissuto un periodo di apertura apparente a ipotesi di vita più simili almeno ad alcuni degli standard occidentali. Con il loro ritiro, che si dovrà concludere entro domani, 31 agosto, l’Afghanistan è di nuovo sprofondato nel caos. I talebani, nella realtà mai arresi, si sono impadroniti di Kabul quasi senza sparare un colpo e dal giorno alla notte la popolazione dell’intero Paese è sprofondata nel terrore.
Ne fanno le spese in modo particolare le donne, i bambini e le bambine, e chi a vario titolo nel corso degli ultimi vent’anni ha collaborato con gli occidentali, qualsiasi compito svolgesse per loro: gli interpreti, certo, ma anche semplicemente chi si occupava delle pulizie o di aprire e chiudere i cancelli di un ambulatorio medico.
Gli occidentali presenti sul territorio non erano solo gli appartenenti alle forze armate, anche italiane, infatti, ma pure i numerosi cooperanti delle organizzazioni umanitarie che quotidianamente si occupavano di fornire servizi sanitari, educazione, micro-credito alla popolazione e soprattutto alle donne.
Che cosa succede ora, presidente Di Leo, a queste persone?
Entro il 31 agosto dovrà concludersi il rientro di tutti gli occidentali; alcuni, pochi, resteranno, certamente, ma il lavoro indefesso di tante persone e di tante associazioni, che nelle situazioni di grave crisi umanitaria, quale quella afghana è stata anche in passato, sono le prime ad arrivare e le ultime ad andarsene, è stato bruciato dal fallimento pressoché totale di questo rientro precipitoso delle truppe.
La popolazione afghana si trova così sola davanti alle forze talebane, che hanno ripreso il potere…
Esatto, e si è scatenata una vera caccia all’uomo, e soprattutto alle donne. Tanto per fare una considerazione, l’Italia ha accolto 4mila 900 persone, di cui 2mila e 200 sono donne e bambini: ma dai 12 anni in su quasi non vi sono donne, se non anziane, poiché i talebani con rastrellamenti a tappeto, casa per casa, le hanno uccise o fatte schiave, a Kabul forse in modo un po’ meno evidente ma certamente con grande ferocia nel resto del Paese.
Come sono giunte in Italia queste persone?
Attraverso un corridoio umanitario. Sono stati attivati dai militari italiani voli da Kabul a Roma, via Kuwait e Islamabad, che le hanno portate in salvo. Si è trattato di un lavoro enorme, rischioso, in cui i nostri militari e le organizzazioni umanitarie hanno svolto un compito fondamentale, anche perché la situazione da grave è divenuta d’emergenza nel giro di 24 ore. Bisogna constatare con amarezza, inoltre, che le autorità occidentali non erano pronte ad affrontarla, questa emergenza, che pure non avrebbe dovuto coglierle impreparate.
Come si è agito, quindi?
Posso portare molti casi di buoni esempi. Come quello di Luca Lo Presti, presidente di Fondazione Pangea Onlus, che dal 2003 ha operato a Kabul con un impiego enorme di impegno e di forze e che in questi giorni ha messo in salvo centinaia di vite, o quello di altre ong impiegate sul campo. Come Steadfast, portando solidarietà a chi come noi coopera in territori difficili, ci siamo rivolti al Parlamento europeo chiedendo a vari eurodeputati di sollecitare il presidente David Sassoli, al fine di aprire corridoi umanitari sicuri in collaborazione con le organizzazioni umanitarie presenti in Afghanistan. L’attivazione dei corridoi umanitari si è rivelata un’operazione naturalmente complessa, anche a causa del rischio di infiltrazione da parte di eventuali terroristi. Ecco, questa è una cosa molto importante, che deve essere detta: le persone che sono state poste in salvo sono persone realmente in pericolo e persone “sicure”, che hanno lavorato per vent’anni a fianco delle ambasciate occidentali o che sono state seguite dalle varie ong presenti nel Paese. E non sono migranti economici, sono profughi e in quanto tali godono e devono godere della protezione internazionale.
Ora che queste persone sono arrivate in Italia, che cosa succede?
Attualmente si sono attivati dei punti di raccolta nelle basi militari, per un periodo di quarantena dovuto alla situazione pandemica in corso. Nel frattempo la macchina dell’accoglienza si sta adoperando strenuamente per la creazione di centri, in collaborazione con i Comuni della Penisola, in cui i profughi possano essere accolti, curati e progressivamente inseriti nella società italiana. Fortunatamente, sia numerosi sindaci sia moltissimi semplici cittadini stanno dando la propria disponibilità all’accoglienza. Si avverte il senso di una solidarietà che conforta pur nella situazione tragica del momento. Noi, come Steadfast, ci siamo messi subito a lavoro e abbiamo dato la nostra disponibilità a vari Comuni per una progettazione di accoglienza.
Uno degli aspetti che colpiscono particolarmente in questo esodo afghano è quello dei bambini che, come si è visto sui media, le madri hanno messo in braccio ai militari o ai pochi uomini che riuscivano a superare lo sbarramento all’ingresso dell’aeroporto di Kabul, affinché li portassero via, in salvo…
Le scene viste ai telegiornali sono strazianti, e sono vere. In questo momento, siamo sinceri, è necessario salvare loro la vita, solo successivamente si potrà cercare la strada per un ricongiungimento, che naturalmente tutti auspichiamo. Anche per questo è importantissimo che l’Occidente, benché si sia ritirato, non sparisca, non chiuda i corridoi, non abbandoni gli afghani nell’isolamento in cui forzosamente l’Afghanistan si sta chiudendo. Si tratta di un’emergenza umanitaria, in cui i diritti umani fondamentali sono ignorati, conculcati, calpestati.
Qual è e quale sarà, quindi, il compito dell’Europa?
L’Occidente, nel suo insieme, ha il dovere di promuovere e proteggere i diritti umani fondamentali, che proprio in quanto tali debbono appartenere a tutti gli esseri umani, ovunque siano nati, a qualunque Paese appartengano. Deve riflettere su quanto non ha funzionato nel sistema con cui ha operato, se dopo vent’anni di sacrifici l’Afghanistan è tornato al punto di partenza, se non ancor peggio. È inutile litigare e discutere sul fatto che sia giusto oppure no “esportare la democrazia”, benché talvolta si abbia l’impressione che i Paesi occidentali tendano a imporre più che a cooperare e collaborare. Solo la vera collaborazione e il compiuto rispetto dei diritti umani possono aiutare e possono favorire lo sviluppo.
Quanto all’Europa, in particolare, è necessario ed è indispensabile che innanzitutto veda se stessa come istituzione, come unione disinteressata di Paesi, prima che come mero incastro di interessi economici e finanziari. Deve pensarsi come forza compatta, come unione di Nazioni che abbia tra i suoi principali obiettivi la difesa dei diritti umani e la garanzia degli aiuti umanitari, superando individualismi ed egoismi e prese di posizione.
L’appello che come Steadfast ci sentiamo di lanciare è esattamente questo: l’Italia, insieme e unitamente al resto dell’Europa, non può e non deve abbandonare l’Afghanistan e il suo popolo al proprio destino, ma ha il dovere morale di ripensare alla propria cooperazione e al proprio sostegno umanitario.