E così alla fine sono riusciti a sopprimere anche Archie, 12 anni giudicati inutili, di peso, di scarto. Qualcuno ha deciso che la vita di un 12enne bisognosa di cure e di attenzioni non serve, pesa, dà fastidio. Qualcuno ha deciso che è nell’«interesse migliore» morire. Qualcuno, nel nostro mondo, decide che la morte è nell’«interesse migliore» delle persone, minorenni compresi.
Questi pensieri li abbiamo fatti mille volte, queste parole le abbiamo ripetute mille volte, e non cambiano nulla. La nostra civiltà al tramonto si arroga il diritto di sopprimere vite umane innocenti come bere un bicchiere d’acqua.
Come sempre, uno degli elementi che lascia attoniti nella vicenda di Archie e di tanti altri come lui è l’accanimento con cui si è fatto di tutto per uccidere. È stata una vera battaglia, di colpo su colpo, di trovate di ogni tipo, di ricorsi continui per arrivare a dare la morte.
La legge alza le mani, oppure è complice. Gli uomini di legge sono complici, oppure alzano le mani. La legge. Cos’è diventata la leggi oggi? La certificazione notarile della nostra incapacità di prenderci cura della vita. Archie aveva bisogno di noi: di medici, genitori, uomini di legge, una società intera. Gli abbiamo detto «no». Gli abbiamo detto «crepa», «levati di torno, ché è meglio».
Archie dava da fare, chiedeva tempo e fatica, sudore e dolore, e costava pure. Adesso è tutto più semplice, possiamo andarcene al mare e abbiamo anche risparmiato denaro. Archie è la nostra condanna, la condanna di una società malata e di una civiltà morta. Archie non ne aveva la minima intenzione. Ci si è trovato in mezzo, ha pagato il prezzo più alto. Qualcuno ora dice che è meglio così, che si è liberato e che ci ha liberati. Qualcuno forse persino ora gongola. Io ho esaurito le parole, che del resto non servono più. Mi corre un brivido lungo la schiena pensando di camminare in mezzo a certa gente. Adesso ci vuole una preghiera in più per Archie. E una per i suoi carnefici.