Aborto messicano, il muro non ferma il contagio USA

Tanto a Nord quanto a Sud del Rio Grande è il colpo di mano dei giudici supremi a legalizzare la cultura di morte

Rio Grande

Last updated on Ottobre 13th, 2022 at 02:40 am

Il 7 settembre la Corte Suprema federale del Messico ha spianato la via alla liberalizzazione totale dell’aborto. Lo ha fatto abolendo all’unanimità alcuni articoli relativamente pro life del Codice penale di uno degli Stati della federazione, Coahuila, definendoli incostituzionali. Il precedente “locale” permetterà ora di abrogare tutte e ognuna le clausole favorevoli alla vita, o comunque limitanti l’aborto, nel resto degli Stati Uniti Messicani, aprendo totalmente all’arbitrio.

È la stessa tecnica che fu usata nel 1973 dalla Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America, quando, nella sentenza a conclusione del famoso caso Roe v Wade, non introdusse una legge nuova che positivamente autorizzasse l’aborto, ma dichiarò che l’aborto non fosse illegale. Come nel rugby che si passa la palla all’indietro per avanzare a meta.

Come la Corte Suprema messicana oggi, ieri la Corte Suprema statunitense lo fece agitando l’arma della costituzionalità, e per puntare quest’arma ad altezza uomo, anzi bambino, disse di avere finalmente scovato fra le pieghe del testo costituzionale un precedentemente e maldestramente ignorato diritto alla privacy sessuale di cui nessuno si era mai peritato prima e che in quel presunto diritto alla privacy sessuale rientrasse anche l’insindacabile diritto di una mamma di macellare la creatura che avesse avuto la ventura di nascere nel suo grembo in seguito a certi ben noti meccanismi rientranti nel dominio di detta privacy sessuale, tra l’altro come se il bambino in questione fosse soltanto un po’ meccanico prodotto e un po’ burocratica questione sessuale.

La Corte Suprema statunitense trovò cioè un escamotage giuridico per abbattere le difese giuridiche della vita vigenti nel Paese, Stato per Stato, secondo la sua struttura federale e sussidiaria, dal basso verso l’alto, e quindi impose la non-illegalità dell’aborto in maniera centralistica, a cascata, da Washington agli Stati.

Legiferò di fatto, bensì non di principio. Legiferò di fatto poiché impose il precedente giuridico vincolante della non-illegalità dell’aborto che ha funzionato a guisa di legge, ma non legiferò di principio poiché la Corte Suprema non ne ha il potere. Leggendo fra le righe della Costituzione ciò che nella Costituzione non è scritto, quindi inventando di sana pianta, la Corte Suprema compì un abuso – l’abuso di spingersi oltre il proprio mandato costituzionale di custode della Costituzione stessa e non di esserne l’interprete creativo e ideologico –, ma non si spinse ovviamente tanto in là da varare in positivo una legge vero nomine semplicemente perché non ne aveva la possibilità.

Per questo oggi la Casa Bianca estremista di Joe Biden e Kamala Harris, impegnata a genderizzare il mondo e a fare dell’aborto un diritto umano inalienabile, vuole trasformare la non-illegalità giuridica dell’aborto sancita nel 1973 in una vera e propria legge del Congresso federale. Per blindarla, per renderne sempre più difficile la confutazione e anche per orgoglio di bandiera nel vedere sancita non solo la non-illegalità bensì la legalità piena dell’aborto federale.

Non è insomma servito il muro divisorio sul confine fra Stati Uniti e Messico, iniziato da Bill Clinton e dai Democratici, per fermare il contagio della voglia di omicidio raggiunto per via sofistica.

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