Last updated on Febbraio 4th, 2021 at 09:01 am
Uno dei danni collaterali della pandemia di CoViD-19 è stato lo sdoganamento dell’aborto domestico. In Gran Bretagna, per esempio, le donne hanno potuto richiedere pillole che provocano l’interruzione della gravidanza, previo semplice consulto telefonico, o addirittura online. Facile, come ordinare la spesa. Ma anche orribile, com’è sopprimere una vita nascente, per giunta in modo algido e anonimo. Senza contare poi le complicazioni, spesso anche molto gravi, legate a questa pratica abortiva. “iFamNews” non ha mancato di rivelarle, dati alla mano. Parlare dei rischi che corre una donna nell’assumere tali pillole, tuttavia, è tabù. L’associazione Pro Vita & Famiglia è stata oggetto di un attacco mediatico per aver affisso manifesti, volutamente scioccanti, finalizzati a sensibilizzare sul tema.
I dati
Ora sono però gli stessi dati del governo britannico a svelare che le ripercussioni di un aborto fai-da-te potrebbero essere state sottostimate. Si legge infatti che tra aprile e giugno 2020, ovvero i primi tre mesi dall’inizio dell’aborto domestico, sarebbe stata segnalata una sola complicanza su 23.061 aborti farmacologici avvenuti. Un dato esiguo, che però non rincuora affatto Sally-Ann Hart, deputata del Partito Conservatore. In un articolo su Politics.co.uk, la Hart sottolinea come questo dato significherebbe che complicanze simili negli ultimi anni sarebbero state diciassette volte superiori. Secondo la deputata, non solo è «altamente improbabile» che l’aborto domestico riduca le complicanze rispetto a quello medico, ma addirittura «ridicolo».
Lo studio svedese
La Hart osserva che le ipotesi sono due: o «esiste un problema serio quando gli aborti vengono forniti in un ambiente clinico con supervisione medica diretta», oppure, più verosimilmente, non si può avere una reale comprensione dell’impatto dell’aborto fai-da-te sulla salute delle donne per mancanza di segnalazioni. A tal proposito la deputata cita uno studio svedese, il quale indica che il tasso di complicanze per aborti farmacologici è quasi raddoppiato dal 2008 al 2015, passando dal 4,2 all’8,2%. L’incremento sarebbe da attribuire al passaggio dell’aborto dall’ospedale agli appartamenti privati.
Le segnalazioni
La decisione di consentire l’aborto a casa, denuncia la baronessa Philippa Stroud, guida del think tank Legatum Institute, «è il più grande cambiamento alla legge sull’aborto avvenuto dal 1967 ed è stato fatto senza alcun intervento parlamentare o consultazione pubblica». In un articolo su The Telegraph, la Stroud ha sottolineato che «ci sono stati 52 casi ufficialmente segnalati al Dipartimento della Salute di donne a cui sono state fornite pillole abortive per posta oltre le 10 settimane di gestazione». Dopo quel termine la pillola potrebbe non produrre l’effetto voluto. E soprattutto, potrebbe aumentare i rischi di danni alla salute delle donne. «È fondamentale», conclude la Stroud, «che il governo revochi queste dannose concessioni fatte all’inizio della pandemia che si sono rivelate così pericolose».
Pillole libere
Sulla stessa lunghezza d’onda Catherine Robinson, portavoce di Right to Life UK, la quale precisa che la legge sull’aborto pre-CoVID-19 in Inghilterra e Galles era sì una legge «molto cattiva e pericolosa», ma se non altro «forniva almeno alcune protezioni minime contro gli aborti forzati e assicurava un minimo di assistenza post-aborto». La Robinson ritiene dunque che «una volta che le pillole abortive vengono inviate per posta, nessuno può essere certo di chi le prende e in quale fase della gravidanza». Pertanto, conclude, «il potenziale di complicazioni e abusi è ampio, soprattutto considerando che migliaia di donne si sono procurate un aborto con questo metodo». Informare è perciò necessario, ovviamente anche in Italia.