Last updated on Dicembre 9th, 2020 at 04:40 am
Appena un secolo fa, il 18 novembre 1920, l’Unione Sovietica diventò il primo Stato al mondo a legalizzare l’aborto. Lenin (1870-1924) lo impose al popolo dopo avere teorizzato, per anni, che fosse un diritto della donna. Nel 1913, sulla Pravda, prima cioè di ascendere al potere, il futuro despota sovietico già chiedeva «l’abolizione incondizionata di tutte le leggi persecutorie sull’aborto», definendo l’interruzione volontaria della gravidanza una delle «verità fondamentali dei diritti democratici dei cittadini».
Il numero delle vittime mietute in questi cento anni si calcola in miliardi, e questo nonostante la scienza abbia mostrato con evidenza che l’essere nel grembo della propria madre è incontrovertibilmente umano fin dal concepimento.
Dall’Unione Sovietica la legislazione abortista si è quindi estesa ai Paesi satelliti di Mosca. Svezia e Giappone sono stati i primi a seguirne l’esempio oltre il blocco sovietico. Rotto l’argine, ora degli anni 1960 e 1970 anche in molti regimi democratici occidentali l’aborto legale è diventato una triste realtà. Un esempio illuminante è quello della Spagna, che ha depenalizzato l’aborto “tardi”, solo nel 1985, e che pure da allora è riuscita a sopprimere ben 2,5 milioni di bambini per via chirurgica, più la cifra oscura di quelli soppressi per via farmacologica.
Oggi, cento anni dopo quella prima legge, sono più di 50 milioni, afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini che vengono abortiti annualmente in tutto il mondo a norma di legge. Nella stragrande maggioranza dei Paesi della Terra l’aborto è oramai depenalizzato. In Occidente le legislazioni vigenti in materia sono quasi ovunque molto permissive e talora la soppressione dei bambini ancora nel ventre delle proprie madri è permesso praticamente fino al momento del parto. Solo un piccolo gruppo di Paesi del globo lo vieta ancora completamente, mentre in qualcun altro vigono leggi restrittive.
Ebbene, un secolo di aborto legale dopo, il risultato è che la Russia, il più vasto Paese del mondo, è oggi fatta di enormi aree disabitate, che ogni donna dell’immensa Russia al di sopra di una certa età ha subìto fra i 3 e i 6 aborti indotti, e che i bambini russi che abitano con il padre sono una minoranza. Pure la vicina e popolosa Cina sta perdendo la propria popolazione. Per questo sia la Russia sia la Cina stanno cercando, tardi, di correre in qualche modo ai ripari.
Oggi questa ideologia di morte continua ad avere fautori e alfieri. Stanno però crescendo anche le forme di resistenza organizzata.
Con la recente Dichiarazione di Ginevra ben 33 Paesi, tra cui Brasile, Polonia, Ungheria e Stati Uniti d’America in testa, difendono apertamente la famiglia naturale impegnandosi a promuovere la vita e i diritti del concepito. E dalla Louisiana alla Polonia gli esempi di inversione di tendenza non mancano.
Al vertice del Paese più importante e influente del mondo vi potrebbe però presto essere un uomo, Joe Biden, che sceglierà ancora una volta la strada di morte già scelta da Lenin. Per questo è indispensabile che gli altri, cioè noi, facciano – facciamo – la nostra parte.