Last updated on Dicembre 9th, 2020 at 04:44 am
Quello di «omo/transfobia» è, per eccellenza, un concetto fluido nei criteri definitori prima ancora che nell’oggetto. Nonostante la lobby LGBT+ si presenti assai strutturata e disciplinata – quasi militarizzata – non vi è una strategia omogenea per ogni Paese, tanto è vero che le numerose leggi approvate nel mondo da una ventina d’anni a questa parte fanno leva sui presupposti più disparati. Ciò che è univoco è però il punto d’arrivo: tacitare il dissenso e permettere all’ideologia gender di avanzare, plasmando le menti soprattutto dei più giovani.
Uno degli ultimi ordinamenti europei ad adeguarsi al politicamente corretto nella declinazione “arcobaleno” è stata la Svizzera, dove, alla fine del 2018, il parlamento nazionale ha approvato la modifica dell’articolo 261-bis del Codice penale poi ratificata da un referendum del febbraio successivo: ai comportamenti discriminatori per motivi di razza, etnia o religione, vengono aggiunti quelli nei confronti dell’orientamento sessuale. Un’impostazione molto simile, questa, alla modifica della legge Mancino avanzata in Italia, con passi successivi, fino al «testo unico Zan».
In Finlandia, una legge penale contro le discriminazioni in base all’orientamento sessuale vige dal 1995 e prevede fino a due anni di reclusione. A farne le spese è stata, in più di un’occasione, la Chiesa luterana a cui è stata imposta, per via di tribunale, la candidatura a cappellano di una donna, inizialmente esclusa in quanto convivente con un’altra donna. In febbraio il decano della diocesi luterana finlandese è stato indagato per quanto scritto nel breve saggio Uomo e donna li creò (oltretutto pubblicato sedici anni prima), che semplicemente ribadisce i princìpi della famiglia naturale alla luce della Sacra Scrittura. L’accusa contro il pastore è di «incitazione all’odio» nei confronti della comunità LGBT+ e di «agitazione etnica», poiché la normativa anti-«omofobica» finlandese si affianca a una serie di disposizioni contro la discriminazione in base alla razza, alla nazionalità, alla religione o alle condizioni fisiche.
Il Paese cattolico dove le norme anti-«omofobia» hanno sollevato il maggior numero di controversie giudiziarie e il dibattito più acceso nell’opinione pubblica è sicuramente la Spagna, dove la legislazione in materia è regolata sia dallo Stato, sia dalle comunidades locali, equivalenti delle regioni italiane. Mentre in Italia le persone disabili sono state inserite tra le categorie protette in un ddl concepito essenzialmente per le persone LGBT+, in terra iberica è avvenuto l’esatto contrario: la legge del 2003 sulle pari opportunità, la non discriminazione e l’accesso universale per le persone disabili è stata estesa anche all’orientamento sessuale. Anche in Spagna le vittime più illustri appartengono peraltro tutte all’alto clero, a conferma di una dicotomia molto conflittuale tra laici e cattolici che affonda certamente le radici nella Guerra civile (1936-39).
Il primo a essere indagato è stato il cardinale Fernando Sebastián Aguilar (1929-2019), arcivescovo emerito di Pamplona ed ex vicepresidente della Conferenza Episcopale Spagnola, che, nel 2014, pochi giorni prima di ricevere la berretta rossa, fu indagato per aver detto in un’intervista che «una cosa è manifestare accoglienza e affetto verso una persona omosessuale, un’altra è giustificare moralmente l’esercizio dell’omosessualità. A una persona posso dire che ha una deficienza, ma ciò non giustifica che io rinunci a stimarla e ad aiutarla».
Sulla graticola dei censori arcobaleno è finito anche l’arcivescovo di Valencia, cardinale Antonio Cañizares Llovera, incriminato per un’omelia in difesa la famiglia naturale.
Nel 2016 la comunidad di Madrid ha quindi approvato una legge contro la discriminazione per ragioni di orientamento e di identità sessuale, che obbliga le scuole pubbliche e private a trattare il tema della diversità sessuale a lezione, mentre i vescovi hanno contestato pubblicamente il fatto bollandolo come un «attentato alla libertà di espressione».
In Francia le prime norme contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale sono state approvate nel 1985 e vigono in materia di occupazione, locazione e fruizione di un certo numero di beni e di servizi sia statali sia privati. Nel 2012 la legge è poi stata integrata con la tutela dell’identità sessuale. Una legge anti-«omofobia» vera e propria è stata però approvata nel 2004, emendando la legge del 1985, per punire le manifestazioni di «omofobia», sessismo, razzismo e xenofobia con multe dai 45 euro e la reclusione fino a 12 mesi. L’organo preposto alla vigilanza nei confronti di questi reati è l’Haute Autorité de lutte contre les discriminations et pour l’égalité.
Nel Regno Unito l’Equality Act del 2010 protegge contro le discriminazioni sul posto di lavoro e, in generale, nella società. Questa misura sostituisce tre precedenti leggi contro la discriminazione sessuale (1975), contro la discriminazione razziale (1976) e contro la discriminazione ai danni dei disabili (1995). Tra le categorie protette dalla normativa britannica figurano il sesso, l’orientamento sessuale e il gender reassignment, ovvero i transessuali che, come minimo, abbiano avviato un trattamento ormonale. L’Equality Act ha peraltro determinato controversie in particolare in ambito lavorativo: è il caso dei coniugi Peter e Hazelmary Bull, albergatori che nel 2013 si rifiutarono di affittare una camera a una coppia omosessuale, perché si trattava di persone non sposate, e di un panificio di Belfast che si è rifiutato di decorare una torta con uno slogan a favore dell’equiparazione fra il matrimonio e l’unione omosessuale.