«Nostradomus». La vendemmia, il vino

La bellezza della famiglia attraverso storie, apologhi, aneddoti e spunti raccolti oggi per seminare un domani migliore

La vendemmia, quest’anno, a causa delle temperature elevate perdurate fin dal mese di maggio e della siccità prolungata, è stata anticipata di alcuni giorni in molte Regioni d’Italia, in certe zone addirittura al principio di agosto.

Gli specialisti delle principali associazioni di produttori prevedono per l’annata una resa quantitativa purtroppo non abbondante, almeno il 10% di produzione in meno, in alcune aree vocate anche per via di nubifragi e grandinate, ma qualitativamente ottima, a patto naturalmente che la gestione agronomica dei vigneti sia stata condotta a regola d’arte.

I proverbi legati alla viticoltura e al vino e riferiti al periodo di agosto e settembre sono innumerevoli, così come i riferimenti culturali al prodotto della vigna. «Il vino», come si legge nel Dizionario elementare della civiltà cattolica, «esiste fin dai tempi antichi. Si hanno notizie che fanno risalire l’uso di questa bevanda, prodotta forse casualmente, a 9-10mila anni fa, nella zona del Caucaso. […] Tracce non solo di consumo, ma di produzione su larga scala del vino si sono trovate in Armenia e risalgono a poco più di 4mila anni fa. Il vino era conosciuto dagli Ebrei (se ne parla nella Bibbia), dagli Egizi, dai Romani, dai Greci e da altri popoli dell’antichità».

Si trattava allora, anche all’epoca dell’Impero romano, di un prodotto molto diverso da ciò che oggi conosciamo, quasi uno sciroppo denso, dolce e di gradazione alcolica elevata, che veniva per questo diluito con acqua, miele e spezie e servito durante i banchetti, ma esclusivamente agli uomini. Alle donne, infatti, a Roma il consumo del vino era interdetto, tanto che esisteva un istituto del Diritto denominato ius osculi, «diritto di bacio», che permetteva al pater familias di baciare sulla bocca moglie e congiunte per verificare che non ne avessero bevuto.

Le invasioni dei popoli barbari e nel secolo V la caduta dell’Impero hanno poi ridotto a zero la viticoltura in Occidente, i terreni in abbandono si sono inselvatichiti, cantine e attrezzi sono andati distrutti. Furono i monaci, anche questa volta, a mantenere il seme di questa tradizione antichissima e a riprendere durante tutto il Medioevo la cura e la coltivazione dei vigneti attorno ai monasteri.

«Il fondatore del monachesimo occidentale, san Benedetto da Norcia (480 ca.- 547),» continua il Dizionario, «nella Regola, autorizza i monaci a bere quotidianamente una moderata quantità di vino («[…] che non si beva fino alla sazietà»). La stessa Regola si impone poi in tutto l’Occidente monastico e dà adito ad una grande applicazione dei monaci nella coltivazione della vite e nella produzione di vino». Il vino, del resto, oltre ad essere considerato alla stregua di un alimento in un’epoca in cui l’apporto calorico dato dal cibo era ben diverso dall’attuale, era necessario anche per la celebrazione della Messa.

«Ai monaci benedettini, certosini, cistercensi, cluniacensi e ad altri religiosi si deve la produzione di ottimi vini in Francia, Spagna, Germania, Portogallo, Austria e Svizzera».

Léo Moulin (1906-1996), storico e sociologo belga, riportato dal Dizionario, afferma come in Italia «ai cavalieri di Malta si devono il bardolino, il soave, il valpolicella e il vino dei colli del Trasimeno; ai benedettini il cirò, il freisa, il gragnano, il greco di Gerace e il greco di Tufo, il montonico e il santa maddalena; ai benedettini e ai monaci scalzi il vino dei colli Euganei; sempre ai monaci scalzi e ai gesuiti (oltre che ai monaci di Grottaferrata) il frascati; ai gesuiti si deve il lacrima-christi; ai certosini e ai cavalieri di Malta il capri; ai cistercensi il gattinara e lo spanna; ai templari infine il locorotondo», per non citare che alcuni dei vini ottimi prodotti nella Penisola.

In epoche successive, la vitivinicoltura visse poi periodi di grande sviluppo, fino a giungere alle opere di modernizzazione radicale operate al principio del secolo scorso e poi ancora a partire dal secondo Dopoguerra, in svariate Regioni fortemente vocate, dal Piemonte, alla Lombardia, alla Toscana, giù giù lungo lo Stivale, fino alla Sicilia. Oggi, quantitativamente, in Italia si beve meno rispetto al passato. Si beve meglio, però, con maggiore consapevolezza rispetto alla qualità del vino, «frutto della vite e del lavoro dell’uomo», prodotto della terra e traccia culturale che lega al passato.

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