Last updated on Luglio 8th, 2021 at 05:54 am
«L’aspetto economico dell’aborto è sì importante, ma vorrei porre l’accento sui costi fisici e psicologici di questa pratica». A parlare, intervistato da «iFamNews», è il professor Filippo Maria Boscia, ginecologo e presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci), tra gli estensori del rapporto I costi di applicazione della legge 194/78 in Italia, presentato il 24 maggio scorso all’Università LUMSA di Roma.
Non solo una questione economica
Per lui la Legge 194/78 è «iniqua» in quanto, «pur richiamando il valore sociale della maternità, nella sua reale applicazione ha prodotto un effetto contrario». Boscia rileva a tal proposito che essa «ha banalizzato» l’aborto volontario, «portando così all’accettazione generalizzata di una pratica oggi considerata del tutto ordinaria». Il punto è dunque «rimettere al centro la vita umana», sia quella del nascituro sia quella della madre. «Se passa l’idea che l’aborto farmacologico possa essere meno costoso di quello chirurgico, la società continua ad eludere il vero problema. Ridurre tutto a un tema economico è lesivo della dignità della persona», commenta il ginecologo.
Sindrome post-abortiva
In decenni di attività, Boscia afferma di essersi confrontato molte volte con «i costi fisici e soprattutto psicologici che pagano quelle donne e che rientrano nella cosiddetta “sindrome post-abortiva”, compresa nel grande capitolo delle sindromi post-traumatiche da stress». Boscia sottolinea che essa «frequentemente è all’origine di fenomeni di depressione, che si identifica con quel lutto inconsolabile che accompagna la donna per tutta la vita».
Il ginecologo – che si occupa di fisiopatologia della riproduzione, di fertilità e fecondità – è emotivamente coinvolto quando parla di «donne oggi quarantenni, che hanno abortito una, due, anche tre volte e che oggi desiderano ardentemente un figlio che non arriva». «Mi piange il cuore», commenta, «non dobbiamo colpevolizzare queste donne, anzi dobbiamo assisterle. Vanno colpevolizzate invece la società e la politica che hanno voluto concedere tutto a tutti, comprese leggi di morte».
Il caso Cytotec
Deriva da questa stessa mentalità, secondo Boscia, l’utilizzo per indurre l’aborto di farmaci cosiddetti «off label», ovvero usati in modo non conforme a quanto previsto. Tra questi c’è il Cytotec, un gastroprotettore. «Sul foglietto illustrativo di questo farmaco c’è scritto che non va preso dalle donne in età fertile che non stanno utilizzando metodi contraccettivi, appunto perché può provocare un aborto spontaneo». Eppure, spiega Boscia, «questo avviso prudenziale viene capovolto e il Cytotec è usato per provocare aborti, per altro assumendo dosi molto più alte per avere un effetto immediato».
Il dato del 10%
In un passaggio del recente rapporto sui costi dell’aborto si legge che «nel 90% delle gravidanze interrotte con misoprostolo [Cytocec] non si verificano complicanze». Un dato, tuttavia, che secondo Boscia va spiegato meglio. «Anzitutto, il 10% è una cifra alta, perché stiamo parlando comunque di vite umane», sottolinea. Qui il presidente dell’Amci elenca le possibili complicanze del Cytocec: «Una di queste è la complicanza emorragica dovuta all’espulsione non completa del feto. Poi ci possono essere reazioni allergiche o anafilattiche, nonché il tentativo abortivo non riuscito che può però provocare malformazioni al feto qualora la donna ci ripensasse successivamente e volesse proseguire la gravidanza». Insomma, il ricorso ai farmaci non è una passeggiata. «L’aborto è sempre un male; per le donne, per le loro famiglie, per l’intera società», afferma Boscia. «Se vogliamo essere ecologici fino in fondo, non dobbiamo estirpare la vita, ma imparare a coltivarla».