Uno studio condotto lo scorso anno da Lifeway Research e presentato di recente raccoglie dati significativi sul ruolo degli uomini rispetto alle procedure di interruzione volontaria della gravidanza, che ad abortire sia stata la moglie, la fidanzata, la compagna oppure una partner occasionale.
La ricerca è stata svolta negli Stati Uniti d’America, su un campione di 1000 uomini, e ha analizzato, fra l’altro, lo stato d’animo di questi uomini nel momento in cui la donna ha comunicato loro di attendere un figlio, stato d’animo che va da «sentirsi nervoso» per il 53% di loro, a «spaventato» per il 42%, ma anche «felice» per il 30% ed «emozionato» per il 28%.
Per quanto riguarda il comportamento che i padri hanno tenuto rispetto alla decisione della donna di abortire, il 12% di loro afferma di averla «sollecitata con decisione» a farlo, il 30% di «averlo proposto», il 19% di «aver suggerito di non farlo», l’8% di averla «sollecitata con decisione a non farlo», ma un incredibile 31% ha dichiarato di «non aver dato alcun parere».
In questa folla di servi muti della «cultura di morte», il 63% ha ritenuto che l’aborto «fosse una sua scelta». «Sua», della donna. Del resto, nel momento in cui l’aborto è legale e consentito, qualcuno dovrà ben scegliere se ricorrervi oppure no.
Le “ragioni” date per l’uccisione di un bambino nel grembo materno sono state quelle consuete che la vulgata filoabortista sbandiera come valide: la coppia non poteva «permettersi» un bambino in quel momento, vi erano altri figli in famiglia, in numero ritenuto «sufficiente», lui doveva finire gli studi, o non si sentiva «pronto» a essere padre, oppure non considerava la relazione con quella donna una cosa seria. La banalità del male.
In Italia, qualche eco mediatica l’ha avuta qualche anno fa il caso di Andrea Roncato, cabarettista e attore, che ha raccontato in un libro, dal titolo Ti avrei voluto, di essersi pentito di quell’aborto cui ha fatto ricorso in gioventù. Nel corso di una intervista televisiva, alla conduttrice che gli chiedeva se un figlio gli mancasse, Roncato ha risposto: «un figlio mi manca, è stato il vero errore della mia vita. Quando ero molto giovane ho avuto la possibilità di diventare padre, di avere un figlio, ma feci un aborto. Adesso sono diventato estremamente antiabortista. Ho fatto anche un libro per questo bambino che non è mai nato che si chiama T’avrei voluto. “T’avrei voluto volere quella volta che non ti ho voluto”, è l’ultimo verso di una poesia che ho scritto e che si chiama proprio T’avrei voluto».
È questo uno dei motivi per cui i «Centri di Aiuto alla Vita italiani», le sedi operative del «Movimento per la vita», che operano «rispondendo in modo concreto alle necessità delle donne che vivono una gravidanza difficile o inattesa», come riporta il sito web, se è vero che si rivolgono principalmente alle donne, le sollecitano però quando possibile a coinvolgere i padri dei bambini che hanno in grembo, a portarli con sé a incontrare chi potrà aiutare la coppia a non rinunciare a un figlio. «Ogni anno circa 60mila donne delle quali la grande maggioranza è in attesa di un bambino vengono assistite in vario modo. Potrebbero raccontare storie drammatiche — quasi tutte, però, a lieto fine — di speranze perdute e ritrovate, di fiducia smarrita e restituita. E nessuna mamma ha mai rimpianto la scelta di far nascere il bambino che aspettava».
Di certo, così facendo e scegliendo la vita, eviterà di pentirsi anche qualche papà.