UK: cambiano sesso, si pentono, aumentano i casi

Keira Bell, 23enne transgender, ha denunciato la clinica Tavistock. Tanti altri giovani versano nelle sue condizioni

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Last updated on marzo 10th, 2020 at 06:07 am

Brexit, Coronavirus, ma non solo. Nel Regno Unito c’è un altro tema che sta alimentando il dibattito pubblico: il trattamento dei minori transgender. Il primo scossone l’ha provocato l’uscita del dott. Marcus Evans, uno psicanalista che faceva parte del direttivo del Tavistock Identity Development Services (GIDS), unica clinica del sistema sanitario nazionale britannico che si occupa di riassegnazione del genere sessuale. Il professionista si è dimesso dopo avere denunciato la censura nei confronti di esperti che avanzano perplessità sui modi sovente spicci che portano a «valutazioni cliniche inadeguate» e a «interventi prematuri» ai giovani pazienti. Evans ha inoltre sollevato il velo sulle «pressioni degli attivisti trans» subite da molti suoi colleghi perché il dibattito resti tabù.

La storia di Keira Bell

Alla denuncia dello psicanalista si aggiunge ora la storia di Keira Bell, 23enne transgender che vuole tornare donna. Quando era adolescente è stata sottoposta a trattamenti ormonali e chirurgici molto invasivi, che l’hanno portata al cambio di sesso. Scelta, questa, che avrebbe dovuto rimediare alla sua disforia di genere, ovvero la discrepanza tra il sesso biologico e l’“identità sessuale percepita”. La Bell afferma di aver iniziato a ricevere cure, compresi i farmaci che bloccano la pubertà, dopo «circa tre sessioni» al Tavistock, della durata di un’ora ciascuna. Afferma che all’epoca non aveva «dubbi» sul fatto di voler diventare un ragazzo. «Volevo intraprendere il percorso medico il più presto possibile, ero molto ansiosa ed ero riluttante a parlare con chiunque potesse ostacolarlo». Ora però si è pentita e vorrebbe tornare indietro. Ritiene che vengano sottovalutati «gli effetti psicologici e cerebrali del trattamento».

Ha così deciso di metterci la faccia, raccontando la propria dolorosa esperienza ai media e citando in giudizio la clinica Tavistock. La sofferenza che prova sulla propria pelle è riassunta dalla seguente affermazione: «Vivo in un mondo in cui non mi inserisco né come maschio né come femmina. Sono bloccata tra i due sessi». Spiega inoltre che il trattamento le ha causato «sintomi simili alla menopausa», con «vampate di calore, difficoltà a dormire, scomparsa del desiderio sessuale». Le sarebbero state poi somministrate compresse di calcio, perché «le mie ossa si erano indebolite».

Gli altri casi

La sua vicenda non è un caso isolato. Come racconta la stampa d’Oltremanica, le storie di giovani che cambiano sesso e poi si pentono sarebbero in aumento. È stata creata anche un’organizzazione ad hoc che li raduna, The Detransition Advocacy Network. Sarebbero «centinaia i giovani adulti» che vi si rivolgono affermando che il trattamento ormonale non ha risolto i loro problemi. Intanto aumenta esponenzialmente anche il numero di minori che si rivolgono al GIDS: se nel 2009 erano 77, dieci anni dopo sono diventati 2.590. Cosa c’è dietro questa impennata? Ideologia? Interessi? O semplicemente maggiore consapevolezza sulla disforia di genere? In un articolo uscito su The Times e ripreso su Avvenire da Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica nell’Università degli Studi di Perugia, si parla del fatto che negli ultimi tre anni ci sono state 35 dimissioni da parte di medici della GIDS come quella del dott. Evans, «spesso per evitare le pressioni degli attivisti di Mermaids, la charity che promuove bloccanti, ormoni e trattamenti chirurgici per minori trans». E, ancora, l’autrice dell’articolo sul giornale inglese chiede di capire «perché la Ferring Pharmaceuticals, che produce la triptorelina [il bloccante della pubertà] non solo ha supportato finanziariamente un trial del protocollo olandese ma dal 2013 ha donato 1,4 milioni di sterline ai Liberal Democratici, i più accesi sostenitori della autoidentificazione del proprio genere».

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