Stop agli atleti trans in gare femminili

Lo dicono uno studio medico e una legge USA

Image from Pixabay

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Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:07 pm

Se quasi ogni singola disciplina sportiva prevede gare maschili e femminili separate, alla base c’è evidentemente una ragione logica e di buonsenso. Laddove entra in campo la componente fisica, d’altronde, emerge la differenza tra i due sessi, che impone una scelta di distinzione netta. Negare questo dato di realtà significa negare una verità biologica.

Velocità e forza muscolare

Verità, questa, che viene ribadita da uno studio pubblicato su Sports Medicine e ripreso dal quotidiano britannico The Guardian. Vi si legge che gli uomini sono circa il 10-13% più veloci delle donne nella corsa e nel nuoto, ma che il divario aumenta tra il 29 e il 52% quando si tratta di bowling, di cricket, sollevamento pesi e, in genere, di sport che si affidano alla massa muscolare e alla forza esplosiva. «Differenze di prestazioni superiori al 20% sono presenti di solito quando si considerano sport e attività che comportano un ampio contributo alla parte superiore del corpo», precisa lo studio. Che ha persino dimostrato come 10mila atleti maschi riescano a ottenere risultati migliori dell’attuale campionessa olimpionica dei 100 metri.

Il caso dei trans

Alla luce di queste considerazioni non può che destare perplessità la scelta del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) di ammettere atleti uomini transgender non operati alle gare riservate alle donne. I fautori di questa innovazione dicono che gli atleti, prima di passare alle competizioni del gentil sesso, si sottopongono a cure ormonali atte a sopprimerne il testosterone. Lo studio di Sports Medicine stronca però anche questa argomentazione: i ricercatori hanno infatti rivelato che la perdita di massa corporea magra, area muscolare e forza è soltanto del 5% dopo dodici mesi di assunzione di farmaci per ridurre il testosterone. Anche quando, spiegano, quest’ultimo viene soppresso in quantità importante, ossia di un nanomole per litro (nmol/L), non «viene eliminato il vantaggio antropometrico di massa/forza muscolare in modo significativo».

Pareri scientifici

Non stupiscono allora le frequenti vittorie schiaccianti di atleti uomini transessuali in gare femminili. Gli autori dello studio ritengono dunque che «il CIO potrebbe aver bisogno di rivalutare» se le attuali linee guida siano corrette e sicure per le competizioni femminili. E chiedono inoltre se, da un punto di vista medico-etico, sia accettabile che il CIO chieda agli atleti transessuali di ridurre significativamente il proprio testosterone per poter gareggiare con le donne.

Anni fa si era levata dalle pagine de La Gazzetta dello Sport anche la voce contraria di un celebre fisiologo italiano, il professor Arsenio Veicsteinas, deceduto nel 2017. «Chi nasce uomo ha le caratteristiche anatomiche maschili», affermava lo specialista. «Chi decide di cambiare sesso conserva il proprio DNA, nonostante le cure ormonali», aggiungeva. E infine osservava: «L’etica dello sport è che si gareggi ad armi pari. La lealtà della competizione è minata soprattutto per un uomo che diventa donna: come si potrà sostenere davanti alle proteste di una donna che si è giocato ad armi pari?».

Il coraggio di dissentire

L’insofferenza nei confronti della decisione del CIO attraversa il mondo dello sport femminile, anche se spesso si predilige non esplicitarla per paura di essere tacciate di discriminazione. Chi ha osato sfidare questo particolare aspetto del politicamente corretto è la celebre tennista statunitense di origine ceca Martina Navrátilová, peraltro lesbica dichiarata, che ha definito una «truffa» questo sistema. La dichiarazione della Navrátilová ha peraltro esposto l’atleta alla gogna mediatica e alle aggressioni sui social media. «Io sono una persona forte», ha dichiarato la campionessa di tennis, «ma ho paura che altri possano essere ridotti al silenzio o alla sottomissione».

Un piccolo ma significativo segnale di riscossa giunge intanto dal Connecticut, dove un gruppo di giovani atlete donne ha intentato una causa contro la presenza di atleti trans nelle competizioni femminili. «Mentalmente e fisicamente conosciamo il risultato prima ancora che inizi la gara», dice una di loro, Alanna Smith, figlia dell’ex giocatore di baseball Lee Smith.

La legge in favore delle sportive

Ma ora queste giovani atlete statunitensi hanno una sponda politica. La deputata Tulsi Gabbard, del Partito Democratico, ha presentato una legge, il Protect Women’s Sports Act, insieme al collega Repubblicano Markwayne Mullin, per chiedere di vietare che gli atleti maschi trans possano partecipare a gare femminili. Disconoscere le differenze biologiche tra maschi e femmine, afferma la Gabbard, è «il massimo dell’ipocrisia» per chi difende i diritti delle donne. Ora, la proposta di legge non piace affatto ai vertici del Partito Democratico, eppure, chiosa la Gabbard, la differenza tra i due sessi «è un fatto scientificamente stabilito». Si vede che in certi ambienti la scienza è tale solo quando fa comodo all’agenda politica.

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