Last updated on Dicembre 19th, 2021 at 05:41 am
Un rapido “copia e incolla” da Wikipedia aiuta a spiegare di cosa si tratti: «Il Sarco, talvolta chiamato Sarco Suicide Pod, è un dispositivo per eutanasia costituito da una capsula removibile, stampata in 3D, montata su un supporto avente al suo interno un contenitore di azoto liquido, utile a suicidarsi attraverso l’asfissia da gas inerte». Chiaro, semplice, conciso.
La trattazione dell’argomento si fa poi addirittura didascalica: «Quest’ultimo tipo di asfissia è stato scelto poiché evita il sopraggiungere del panico, del senso di soffocamento e quindi dell’istintiva lotta precedente allo stato di incoscienza. Viene utilizzato in combinazione con un gas inerte, l’azoto, che previene il panico, il senso di soffocamento e la lotta precedenti alla caduta in uno stato di incoscienza, ovvero tutti quei meccanismi facenti parte della risposta del corpo all’ipercapnia, che sarebbero invece causati da un aumento della concentrazione di anidride carbonica nel sangue». Con l’aiuto di qualche fotogramma da film, immaginare la scena non è così difficile: la vita che nonostante tutto si ribella alla morte, il corpo che si dibatte, la bocca e le narici che cercano l’aria spasmodicamente… tutti “effetti collaterali” facilmente evitati grazie a una rapida “gasatura”.
Wikipedia riporta poi anche la firma di chi ha realizzato tale dispositivo: «Il Sarco, il cui nome deriva da un’abbreviazione di “sarcofago”, è stato inventato dall’attivista e sostenitore dell’eutanasia Philip Nitschke nel 2017. Nel 2021, Nitschke ha dichiarato di aver cercato e ricevuto consulenza legale sulla legalità del dispositivo in Svizzera, paese che nel dicembre 2021 ne ha legalizzato l’utilizzo». E mille grazie pure per la spiegazione dell’origine del nome, anch’essa altamente esplicativa: è un sarcofago, all’atto pratico, in cui farsi seppellire vivi.
Disturbante? Sì, certamente, ma i lettori non ne vogliano per questo ad «iFamNews», che non ne ha colpe, limitandosi a registrare la notizia e a darne conto, dal momento che alcuni media vi hanno dato risalto e i fautori hanno gioito come davanti a una conquista di civiltà.
I dubbi etici sono però numerosi, naturalmente, e pure dal punto di vista legale la sicumera dell’inventore è un poco ridimensionata da altri pareri tecnici a loro modo autorevoli se la stessa associazione svizzera di assistenza al suicidio assistito Dignitas, che sul sito Internet dichiara esplicitamente di annoverare fra i propri «amici all’estero» quelli dell’Associazione Luca Coscioni, tutta questa certezza non la dimostra.
Non è detto, cioè, che come afferma il suo inventore Sarco possa entrare in funzione nel Paese transalpino già nel 2022. Resta il dubbio se le perplessità di Dignitas siano del tutto scevre da interessi di parte, considerato che il mirabile attrezzo potrebbe essere consegnato a domicilio in una sorta di “comodato d’uso”, per essere utilizzato nell’intimità della propria casa, su un prato fiorito tra le valli, in riva a un placido lago… al mare no, ché la Svizzera non affaccia sul mare. Sottraendo così “lavoro” agli operatori per esempio di Dignitas, considerati e sedicenti figure professionali serie e formate. Dopo aver spiegato nei particolari le modalità attuali con cui tali figure hanno operato sino ad ora, attraverso cioè un cocktail di sostanze letali somministrate agli aspiranti suicidi, i portavoce dell’associazione affermano: «Alla luce di questa pratica consolidata, sicura e condotta/supportata professionalmente, non immaginiamo che una capsula tecnologica per un fine vita autodeterminato incontrerà molta accettazione o interesse in Svizzera». La sicurezza e la professionalità prima di tutto, ci mancherebbe.
Non è facile immaginare quali e quante nuove difficoltà etiche, morali e del diritto l’invenzione di tale dispositivo determini. Per esempio, cosa implica il fatto che, come detto, l’uso di Sarco possa sottrarre l’operazione del darsi la morte dalle mani di personale appositamente disposto, per consegnarla in toto in quelle della persona che desiderasse porre fine alla propria vita? Quanta ulteriore solitudine? Quale solipsistico autoconvincimento? Quale scarico di responsabilità, anche, se proprio di depenalizzazione dell’aiuto al suicidio l’Italia sta dibattendo in questi mesi? E con quali fondi dare seguito a progetti “ambiziosi” come Sarco? Forse, con quelli sottratti ai protocolli per le cure palliative?
Pare che il prototipo di Sarco sia ancora in fase di perfezionamento, con una videocamera che dall’interno della capsula possa registrare in tempo reale l’assenso all’attivazione completo, totale e convinto del soggetto rinchiuso volontariamente nella cabina.
Pare anche che disponga di un pulsante che fino all’ultimo momento e al sopraggiungimento dell’asfissia consenta alla persona che si pentisse della decisione presa di interrompere il processo. Di fermare tutto, di aprire la capsula, di scappare fuori e finalmente respirare. La speranza è che lo si faccia subito, tutti, prima che l’orrore sia implementato: che si scappi a precipizio da questo scenario di morte e che si ricominci, finalmente, a respirare di sollievo a pieni polmoni.
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