Sempre più soli nel deserto demografico

L’analisi dell’economista Tyler Cowen su «Bloomberg» è inesorabile

Deserto

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Last updated on aprile 30th, 2021 at 03:14 am

«Di che cosa ha bisogno il mondo? Di più esseri umani». Questo è il titolo, assai poco politically correct, dell’articolo a firma di Tyler Cowen, professore di Economia nella George Mason University di Fairfax, in Virginia, uno dei pochi atenei in cui la Scuola austriaca di economia detenga una posizione di forza. E se il messaggio non fosse ancora chiaro, nel sottotitolo si precisa che «lo spopolamento globale è la minaccia esistenziale incombente di cui nessuno parla». Che l’articolo sia comparso su Bloomberg è ancora più significativo.

Il prof. Cowen cita alcuni dati, peraltro ben noti, sullo stato della demografia mondiale: «Alcuni Paesi dell’Asia orientale hanno tassi di fertilità vicini o addirittura al di sotto di 1, mentre la maggior parte della popolazione europea è in fase di contrazione. Negli Stati Uniti d’America i tassi di fertilità sono scesi al di sotto della soglia di sostituzione», ovvero il livello che consente la stabilità della popolazione in presenza di saldi migratori nulli, pari a circa 2,1 figli per donna in età fertile, «registrando un minimo storico a 1,7 nel 2019, livello che probabilmente scenderà ancora nel 2020, in parte a causa del CoViD. Molti tra i Paesi più poveri del mondo stanno vedendo i propri tassi di natalità crollare a livelli mai visti prima». Per l’anno 2100, secondo una proiezione del Pew Research Center, aggiunge Cowen, «la crescita della popolazione mondiale sarà praticamente nulla».

Da economista, l’autore scrive che «esiste una certa evidenza di come la contrazione della popolazione risulti negativa per l’economia globale» e poi aggiunge, da persona di buon senso, che «per me, comunque, la tragedia più grande sarebbe fallire nell’utilizzare pienamente  le capacità del pianeta di sostenere la vita umana», sostenendo che dunque «dovrebbero esservi politiche per rendere la famiglia numerosa un’opzione più attraente, sia sul piano economico sia in generale».

È una boccata di aria fresca. Sono decenni, infatti, che veniamo bersagliati da una propaganda neomalthusiana secondo cui la crescita della popolazione è la più grande minaccia per la «sostenibilità» economica e ambientale. Per limitarsi all’ultimo mezzo secolo, si va dal «Rapporto Meadows» del Club di Roma sui limiti dello sviluppo (1972) al «Rapporto Brundtland» (1987), per poi accelerare con il Summit sulla Terra di Rio de Janeiro, in Brasile (1992), la Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo de Il Cairo, in Egitto (1994), e la Conferenza mondiale sulle donne svoltasi a Pechino, in Cina (1995). Un’ulteriore spinta è poi stata impressa con l’«Accordo di Parigi» sul clima nel 2015, quindi con l’approvazione dell’«Agenda ONU 2030» sullo «sviluppo sostenibile» con tanto di «diritti sessuali e riproduttivi» – contraccezione, sterilizzazione e aborto – e corollario gender, ostile alla famiglia naturale e quindi alla natalità.

A ciò si aggiunge ulteriormente l’epidemia del CoViD-19, vista dal World Economic Forum di Davos come una «grande opportunità» per imporre un «Grande Reset» ai sistemi economici, sociali e politici mondiali – nella prospettiva di una governance planetaria in  collaborazione con gli Stati e con i grandi gruppi industriali e finanziari –, sempre all’insegna della «sostenibilità» dell’Agenda ONU succitata, liberticida e sempre immancabilmente ostile a famiglia e natalità.

Contrariamente all’approccio ideologico e pessimistico in voga, però, Cowen richiama, da economista e non da moralista, al fatto che il re sia nudo perché, se è vero che i sistemi economici, sociali e politici sono in crisi, la causa non è certamente l’eccesso di popolazione o di libertà economica.

Tutt’altro. Proprio il collasso demografico, iniziato nei Paesi sviluppati nei decenni passati e ora in via di diffusione anche in altre importanti aree geografiche, è una delle cause profonde dell’impasse dei sistemi contemporanei.

Perché? Cowen non ne tratta specificamente, ma l’analisi dei dati conferma che il lungo inverno demografico che affligge l’Italia e gli altri Paesi sviluppati, dal Giappone alla Germania, non è stato causato da motivazioni economiche (visto che è iniziato negli anni 1970) e che semmai è vero il contrario.

A causa della denatalità, la popolazione in età lavorativa ha subìto un’erosione progressiva, mentre l’allungamento delle aspettative di vita e l’invecchiamento della generazione dei cosiddetti baby-boomer, i nati dal 1946 al 1964, sta portando a costi pensionistici, sanitari e assistenziali sempre più elevati, che vengono “prelevati” da un numero di buste-paga in continua diminuzione. Cowen conclude che «il calo demografico è un problema grande, che il mondo in generale, e i Paesi più ricchi in particolare, non solo non stanno gestendo, ma neppure prendono in considerazione».

Un sonno, il loro, da incubo.

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