Chi non conosce Save the Children? Ne incrociamo i rappresentanti per le strade delle nostre città, ne riceviamo le sollecitazioni a donare, ne vediamo gli spot televisivi.
Save the Children è una delle più grandi organizzazioni internazionali. Ha sede a Londra, è nata nel 1919, è presente in 125 Paesi attraverso una rete di 28 succursali nazionali ed è un’Organizzazione non governativa con status consultivo al Consiglio economico e sociale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Il suo è un nome impegnativo, nobile e bello: «Salvare i bambini», declinato all’imperativo. Un comando categorico che non lascia spazio a remore o dubbi. I bambini si debbono salvare. Sono il bene più prezioso, sono il futuro, sono la speranza, sono innocenti e indifesi. Non ci sono «se» e non ci sono «ma». Nessuno metterebbe in dubbio questo assunto, questo principio non negoziabile. «Salvare i bambini» è un ordine a cui non si può disubbidire. «Salvare i bambini» si deve perché sennò soffrono e alla fine muoiono, e questo grida vendetta al cospetto del Cielo. Chi ha avuto l’idea di quel nome merita il Premio Mark Twain (se esistesse): «un minimo di suono per un massimo di senso». Un nome-slogan imbattibile. E siccome il senso etimologico del termine «slogan», anglicizzazione dell’espressione in lingua Gàidhlig, il gaelico scozzese, «sluagh-ghairm», composto dai termini «armata» e «grido», è «grido di guerra», «Salvare i bambini» è un call to action imprescindibile.
Io voglio «salvare i bambini», “iFamNews” esiste per «salvare i bambini».
Come tanti, forse come tutti, un giorno sono stato avvicinato da una giovane rappresentante di Save the Children. A Roma, in Piazza dei Cinquecento, appena uscito dalla Stazione Termini, sceso dal Frecciarossa. La giovane mi chiese un’offerta per la causa di Save the Children: attendevo un conoscente, avevo del tempo, ho ingaggiato una piccola discussione. Mi è tornato tutto alla mente, apprendendo che Save the Children è una delle sei note Ong che hanno domandato all’Unione Europea di garantire il diritto all’aborto.
Alla giovane in Piazza dei Cinquecento dissi che avrei più che volentieri fatto subito una donazione se ella mi avesse chiarito inequivocabilmente cosa Save the Children pensi dell’aborto. Save the Children esiste solo per salvare i bambini dalle malattie e dalla morte, io desidero salvare i bambini dalle malattie e dalla morte, io sono contro l’aborto che è la malattia mortale trasmessa a un bambino innocente ancora nel ventre della propria madre, Save the Children deve essere ‒ ragionavo ‒ contro l’aborto. Che senso avrebbe, infatti, salvare i bambini ma non dalla morte dell’aborto? Non è infatti possibile prescindere dall’aborto e pensare di salvare i bambini dalle malattie solo una volta che siano riusciti a scamparla e venire al mondo.
La mia giovane interlocutrice ha cercato di sviare il discorso, ma io sono rimasto sul pezzo, ripetendo la domanda. Dalla questione dell’aborto discende infatti ogni imperativo volto a «salvare i bambini». Vedendo che non retrocedevo, la giovane mi ha risposto che di quello non era autorizzata a parlare a nome di Save the Children. Le ho risposto che lo trovavo strano: non le avevo infatti mica domandato cosa Save the Children pensasse della musica sperimentale di John Cage e del gelato al pistacchio. Le avevo domandato cosa Save the Children pensasse dell’aborto, che è il contrario esatto dell’imperativo categorico «salvare i bambini».
Le ho allora domandato cosa dell’aborto pensasse lei personalmente, visto che s’impegnava pubblicamente a «salvare i bambini» per Save the Children e che l’aborto è una ecatombe di bambini non salvati. Mi ha risposto che, essendo una questione personale, preferiva non rispondere.
Io vivo quindi da anni nel dubbio. Non so se donare a Save the Children per «salvare i bambini» oppure no. Non so se Save the Children sia una contraddizione vivente («salvare i bambini» e promuovere l’aborto) oppure no. Non so se Save the Children sia favore della vita oppure no. Non so se Save the Children pensi che i bambini debbano essere tutelati soltanto da un certo punto della loro esistenza, ma prima no, se ne può fare carne di porco.
Per questo ho preso accordi con i collaboratori di “iFamNews” per provare a risolvere questi miei dubbi, sentendo il parere autorevole di qualche responsabile di Save the Children che possa rispondere ufficialmente a questa domanda: Save the Children è contro l’aborto?