Last updated on Ottobre 13th, 2022 at 02:41 am
Visto dal satellite, il Messico è un lembo di terra che separa due oceani, il Pacifico e l’Atlantico, appena al di là del Golfo. Sta lì, compreso fra vasti territori che paiono due continenti e invece sono uno, l’America: gli Stati Uniti e l’America Centrale e Meridionale. È formato da 32 entità federali distinte, territoriali e amministrative, cioè 31 Stati più la capitale, Città del Messico, megalopoli tentacolare da 9 milioni di abitanti (forse 25 milioni la città metropolitana).
Solo a Città del Messico (dal 2007) e nello Stato di Oaxaca (dal 2019) l’aborto è legale, sino alla dodicesima settimana di gravidanza. Altrove nel Paese non lo è, con l’eccezione dei casi di pericolo per la vita della gestante o quando la gravidanza è il risultato di uno stupro, dopo aver presentato denuncia.
La legislazione varia a seconda dello Stato in cui ci si trova ma in generale è piuttosto severa, non solo per chi l’aborto lo procura ma anche nei confronti delle donne stesse che vi ricorrono. A questo stato di cose si oppone da tempo il CEDAW (acronimo di Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women), un trattato internazionale adottato nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, istituito il 3 settembre 1981 e ratificato da 189 Paesi fra cui, appunto, il Messico.
Vi si oppone pure il presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador, leader del Morena, Movimiento Regeneración Nacional, di matrice marxista populista, partito di maggioranza assoluta del Paese, che all’indomani dell’approvazione dell’aborto nella vicina Argentina ha dichiarato con leggerezza che dovrebbero essere le donne a decidere se rendere l’aborto legale oppure no negli Stati messicani che ancora non hanno compiuto questo che pare considerare un passo in avanti di “civiltà”.
Ad appoggiare il presidente si schiera l’Instituto nacional de las Mujeres, ufficio del governo federale preposto in teoria alla promozione dello sviluppo e dell’empowerment femminile, portavoce in realtà di istanze fieramente abortiste, che sul profilo Inmujeres México alla fine di dicembre twittava cinguettante il proprio sostegno all’Argentina del presidente Alberto Ángel Fernández.
Qualcuna invece giustamente non ci sta e, invece di fare da cassa di risonanza a chi promuove la cultura della morte, denuncia come terrorismo l’occupazione del palazzo governativo dello Stato messicano del Quintana Roo, che si protrae dalla fine di novembre del 2020, dopo un paio di giorni di sit-in davanti all’edificio.
Brenda del Río, fondatrice e attuale direttrice di National Campaign for Life – Long Live Mexico, definisce infatti «green terrorism» quello che un gruppo di manifestanti ha messo in atto occupando il palazzo, a suo avviso con l’appoggio implicito ed esplicito di parte della politica messicana, in particolare di Ana Pamplona e José Luis Guillén, deputati del Movimiento Auténtico Social (MAS), che con altri hanno dato il via al tentativo di depenalizzazione dell’aborto nello Stato del Quintana Roo.
Terrorismo green, verde, come il colore che i movimenti abortisti dell’America latina, spesso tutt’altro che pacifici e portatori di “speranza”, hanno scelto per tingere visi e bandiere, appoggiati da agenzie governative come per esempio la Comisión Nacional de los Derechos Humanos (CNDH), che twitta a propria volta con entusiasmo e ciancia di aborto «seguro y gratuito a las mujeres que lo consideren necesario»: sicuro per chi? Necessario, per chi? Non per i nascituri, certamente.
Un sondaggio realizzato a livello nazionale e pubblicato nel settembre 2019 dal quotidiano El Financiero aveva evidenziato come il presunto diritto all’aborto avesse il sostegno della maggioranza della popolazione solo a Città del Messico e nello stato della Baja California: altrove nel Paese, il 63% delle 15mila persone intervistate si dichiarava contrario al diritto all’aborto contro 32% a favore.
Tre giorni fa, il medesimo organo di stampa ha dato notizia del fatto che il governo dello Stato del Quintana Roo, nonostante le proteste della Marea Verde di cui si è parlato e che da novembre ostacolano i normali lavori dei rappresentanti dei cittadini, non ha ceduto alle minacce e non ha approvato la depenalizzazione dell’aborto.
C’è del coraggio, fra i due oceani, e questa volta, sì, «¡Que viva Mexico!».