“CorSera”, l’aborto centro delle difficoltà sanitarie

Il quotidiano lo afferma senza però fornire un solo dato. Ce ne siamo interessati. Risultato, bubbole

Volto di donna dallo sguardo triste che indossa la mascherina

Image by Juraj Varga from Pixabay

Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:14 pm

Un articolo pubblicato la settimana scorsa dal Corriere della Sera evidenzia, con tutta la drammaticità del caso, quella che pare essere un’emergenza sanitaria che presenterebbe aspetti di gravità estrema: la difficoltà per le donne italiane, in tempo di CoViD-19, ad accedere all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG).

L’autrice aveva già affrontato l’argomento il 3 aprile, a meno di un mese dalle disposizioni di lockdown imposte dal governo italiano, in piena pandemia, con toni estremamente preoccupati, se non addirittura addolorati.

L’epidemia di nuovo coronavirus, sia in primavera sia in questi ultimi mesi in cui si è assistito alla cosiddetta «seconda ondata», avrebbe cioè limitato, ostacolato e infine impedito il normale flusso di pratiche abortive nei consultori e negli ospedali, mentre norme considerate coercitive nella somministrazione dell’aborto farmacologico, quantomeno da parte di alcune Regioni, avrebbero ulteriormente complicato la libertà delle donne di fruire di tale imprescindibile diritto. Il diritto di uccidere un essere umano ancora nel grembo materno.

Leggendo entrambi gli articoli, però, ci si rende conto che neppure un dato viene prodotto a sostegno di tali posizioni.

Parlano attivisti delle associazioni che si occupano di “aiutare” le donne nel percorso che conduce all’IVG, vengono intervistati un paio di medici ospedalieri e alcune donne. Il tono è quello dello sconforto perché gli anestesisti sono stati spostati dal loro lavoro di routine all’assistenza ai pazienti ricoverati per coronavirus, perché alcuni presidi ospedalieri non sono o non sono stati per lungo temo accessibili per altri interventi, dal momento che sono stati trasformati in “ospedali CoViD”, perché per l’intervento di IVG occorre l’esito del tampone e ciò farebbe perdere tempo “prezioso”.

Si recrimina il fatto che non tutte le Regioni consentano l’accesso libero e indiscriminato alla RU486, da somministrarsi a casa in totale autonomia, senza badare alle complicanze che potrebbero insorgere, per liberarsi del “problema” con un colpo di sciacquone.

Si sottolinea che le donne, poverette, sarebbero costrette a peregrinare di Regione in Regione, zone rosse permettendo, per quello che il ministero della Salute (purtroppo, si vorrebbe aggiungere) già alla fine del mese di marzo ha inserito nell’elenco delle prestazioni indifferibili.

Di dati, non se ne legge appunto neppure uno. Insomma, come conferma ad “iFamNews” il dottor Renzo Puccetti, medico, docente, autore, affezionato alla lettura proprio dei dati più che a libere interpretazioni condotte “a sentimento”, «[…] si parla di episodi». E aggiunge: «Guardi, poiché l’aborto è l’uccisione volontaria di un essere umano vivente, unico e irripetibile, la mia posizione è che sarei ben lieto che il CoViD-19, tra tanta devastazione, avesse almeno frenato la letale macchina dell’aborto. Ma, per averne contezza, si dovrà attendere la relazione del ministero della Salute, che, se non vi saranno ritardi, dirà cos’è successo durante l’epidemia alla fine del prossimo anno».

In aprile la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), l’Associazione Ginecologi Universitari Italiani (AUGUI) e l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri (AOGOI) avevano invocato norme più semplici e più comode per l’aborto farmacologico, sottolineando la facilità con cui all’estero vi si possa accedere, come se si trattasse di un merito. Del resto, non va dimenticato che l’AOGOI, in collaborazione con la nota marca di assorbenti igienici femminili Lady Presteril, propone un progetto didattico gratuito denominato Intimamente Girl, rivolto alle studentesse del secondo e terzo anno della scuola secondaria, per il 2020-2021, incentrato sul benessere intimo, che prevede fra l’altro di trattare «i principali metodi contraccettivi». Chissà cosa racconteranno, a ragazzine di 15 o 16 anni.

In giugno il periodico scientifico internazionale Medical Antrhopology Quarterly forniva un resoconto “a caldo” della situazione dell’aborto in Europa durante la pandemia, esortando i vari Paesi, e l’Italia, a unificare le procedure, evidentemente semplificandole, come in altre parti del mondo già accadeva e accade. L’esordio, del resto, era questo: «Abortion access is central to gender equality, human rights, and social justice, and it is fundamental in primary healthcare provision», vale a dire che «l’accesso all’aborto è un punto focale della parità di genere, dei diritti umani e della giustizia sociale, ed è fondamentale per quanto riguarda l’erogazione dell’assistenza sanitaria di base».

Come già evidenziato altre volte da “iFamNews”, gli sforzi per legittimare e supportare l’aborto, rendendolo pratica chirurgica di routine o fingendo di sorpassarne gli aspetti cruenti con una pillolina magica, procedono senza sosta, e senza rimorso. Neppure una pandemia riesce a fermarli, laddove piuttosto i malati e i morti di questi mesi sono visti come un ostacolo all’arbitrio e alla fretta di liberarsi del “problema”. Ancora, Puccetti dice: «L’epidemia sta indirettamente causando ritardi tragici nella diagnostica e nel trattamento di malattie gravissime e acute. Penso ai tumori e agli infarti. Prescindendo dalla valenza etica, anche soltanto rimanendo sul piano della priorità dei codici di gravità e di urgenza, fare della difficoltà di abortire il centro delle difficoltà sanitarie, in un momento come questo mi sembra francamente lunare».

Purtroppo no, non accade sulla Luna. Accade in Italia, nel 2020.

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