Last updated on Settembre 8th, 2020 at 05:59 am
Sul calendario degli insegnanti quella del primo settembre è una data cerchiata in rosso. Segna infatti il fatidico ritorno a scuola, per le sole attività collegiali, in attesa della riapertura agli studenti. Quest’anno, però, la data assume un valore diverso. L’anno scolastico che sta per iniziare (il 14 settembre è previsto il primo giorno) presenta diverse incognite e suscita perplessità. Il ventaglio di disposizioni sanitarie renderà possibile svolgere le attività in modo continuativo e in un clima di serenità? Si possono far coincidere pedagogia e distanziamento fisico? Come reagiranno gli studenti più piccoli alle novità introdotte?
Domande, queste, che interpellano la coscienza di insegnanti e genitori, e che hanno spinto in appena 11 giorni 6.043 persone ‒ tra cui medici, operatori sanitari, docenti, educatori, psicologi, dirigenti scolastici e persone comuni ‒ a firmare la petizione «Per una scuola reale» lanciata dall’associazione «La scuola che accoglie» per chiedere un ritorno in aula in normalità senza né distanziamento né mascherine. L’iniziativa ha probabilmente sortito un effetto: nella Provincia Autonoma di Trento, dove in giugno sono state consegnate le prime 6mila firme, non è previsto per gli studenti l’obbligo di mascherine in classe. La prima firmataria, l’insegnante trentina di scuola dell’infanzia Chiara Agostini, ha rilasciato un’intervista a “iFamNews”.
Per quali motivi la scuola che sta per riaprire i battenti non la ritenete «reale»?
La scuola che sta per iniziare non è reale perché il bisogno primario a cui si sta cercando di dare una risposta è quello della sicurezza, che è per i bambini un bisogno indotto, generato in maniera arbitraria da un potere centrale. È la scuola del controllo, della paura, del “nemico invisibile”, che può essere identificato nel vicino di casa, nel compagno, nel bidello. Si tratta soprattutto di una scuola in cui ai bambini è precluso il diritto alla spontaneità e al benessere inteso in un senso più ampio rispetto al mero aspetto sanitario. Noi continuiamo a credere in una scuola che educhi alle relazioni, alla socialità, che promuova la libertà, una scuola che investa sull’umanità e non sul controllo, perché, come previsto dai principi fondamentali della nostra Costituzione, è compito della Repubblica garantire il pieno sviluppo della persona umana, e la scuola deve essere il primo luogo in cui questi diritti devono essere garantiti.
Non ritenete appropriate le scelte sanitarie adottate nelle aule per fronteggiare l’epidemia?
Non spetta a noi, in qualità di insegnanti, la valutazione delle scelte sanitarie adottate per fronteggiare l’epidemia. Noi sappiamo che i bambini hanno molti altri bisogni che non sono stati presi in considerazione in questi mesi, e questo può portare all’insorgenza di disagi e problematiche non meno importanti rispetto a quelle sanitarie.
L’assessore all’Istruzione del Veneto, Elena Donazzan, ha espresso perplessità sull’obbligo della mascherina per i bambini a scuola. Un esponente del Partito Democratico le ha risposto che «la vera tortura sarebbe avere un figlio intubato». Non crede che essere contrari a questi dispositivi sanitari sia da irresponsabili?
Purtroppo non vengono presi in seria considerazione i danni relativi all’uso di dispositivi di sicurezza come le mascherine, danni che non sono solo fisici, ma anche psicologici. I protocolli di sicurezza non tengono conto del rapporto rischi/benefici, e a fronte del rischio di contrarre un virus che in larga parte non ha riguardato i bambini e i giovani, vengono imposte delle misure che certamente influiranno in maniera negativa sul processo di crescita dei bambini e dei ragazzi.
Che idea si è fatta dell’acquisto dei nuovi banchi? Le dimensioni ridotte del piano di scrittura fanno dedurre che siano banchi concepiti per i tablet e non per i libri: è d’accordo?
Sull’acquisto dei nuovi banchi è stato già detto molto e non vorrei soffermarmi più di tanto su questo tema, che appare quasi un insulto all’intelligenza degli italiani. Certamente, in tempi di crisi economica e finanziaria come quella che stiamo vivendo, l’acquisto di banchi con queste caratteristiche, le cui possibilità di utilizzo sono poco chiare, non risponde ai bisogni degli alunni e dei docenti, ma ad esigenze di altro genere, che dal mio punto di vista hanno poco o nulla a che fare con la gestione dell’emergenza in corso.
A suo avviso, alla luce della ridda di stringenti disposizioni, è verosimile che venga garantita la continuità del programma scolastico?
C’è un sentimento di grande incertezza nonostante manchino pochi giorni all’inizio dell’anno scolastico. Non sono bastati sei lunghi mesi per organizzare un rientro degno di tale nome. Personalmente, più della continuità del programma scolastico, mi preoccupa la continuità dell’anno scolastico. Non appena scatteranno le quarantene preventive a causa di poche linee di febbre (che potranno capitare ad ognuno di noi, per svariati motivi diversi dal CoViD-19), molte classi rimarranno chiuse, e allora saremo ancora in balia di nuove stringenti disposizioni e di nuove incertezze. Sarà sicuramente un anno scolastico ricco di sorprese, che ci offrirà l’opportunità di riflettere sul concetto di “sicurezza sanitaria”, che non potrà più essere l’unico aspetto a guidare e condizionare le nostre vite.
A giugno ci fu una protesta in 60 piazze italiane da parte di genitori esasperati dalle novità introdotte dalla bozza per il ritorno a scuola presentata dal ministero dell’Istruzione. Ritiene che iniziative di piazza possano essere utili?
Ritengo che sia utile unirci tutti, come famiglie, come insegnanti e come membri della società civile, per far sentire delle voci fuori dal coro. Occorre creare occasioni di incontro e di condivisione di esperienze, vissuti e preoccupazioni, per non cadere nella trappola di chi ci vuole divisi e contrapposti. L’isolamento forzato non ha giovato alla creazione di un clima di solidarietà tra le persone, ma ciò che è importante fare ora è sentirsi una “grande famiglia umana”, poiché l’umanità è proprio quello che ci vogliono togliere. La piazza può essere utile a questo fine, ma non deve limitarsi ad un’iniziativa estemporanea e sporadica. Dobbiamo essere più organizzati e capillari sul territorio. La petizione a favore di una scuola reale ha avuto moltissime adesioni e larga diffusione su tutto il territorio nazionale, ma abbiamo bisogno di ritrovare nuove energie per avere fiducia nel cambiamento e non sentirci isolati e fragili.
Che consiglio rivolge ai genitori, costretti ad attenersi a queste disposizioni e, a Roma, persino costretti a certificare quotidianamente su un registro «la sussistenza delle condizioni di salute» del figlio?
Il mio consiglio è quello di lasciarsi sempre guidare dall’amore verso i propri figli e dal naturale bisogno di proteggerli. Personalmente credo moltissimo nell’istinto materno e so che ogni mamma ‒ ma anche i papà possono riuscirci ‒ in fondo al proprio cuore sa che cosa è giusto e meglio per il proprio figlio. Se ascoltiamo attentamente la voce che abbiamo dentro e la seguiamo, non possiamo sbagliare. Visitare il nostro sito, seguire i suggerimenti di azione che vi si trovano, è un aiuto per non sentirsi soli nell’affrontare un difficile rientro. Le difficoltà si affrontano meglio quando si possono condividere con qualcuno e il nostro movimento conta migliaia di iscritti che credono ancora in una scuola accogliente e inclusiva.