Leo Aletti, eroe normale

La bellezza profonda dell’animo umano, quello che pur dentro una legge marcia come la 194 combatte la battaglia sacrosanta per la vita

Leandro Aletti

Il 15 agosto, Festa dell’Assunta, è scomparso Leandro Aletti (1945-2022). Laureato in Medicina e chirurgia, specialista in Ostetricia e ginecologia, ha insegnato nell’Università degli Studi di Milano, è stato ospedaliero alla Clinica Ostetrica Mangiagalli di Milano e dal giugno 1999 è diventato primario ospedaliero all’Azienda Ospedaliera di Melegnano. Nel 2017 ha pubblicato il libro Carne, ossa, muscoli e tendini. In difesa della vita nascente.

Il suo nome è inscindibilmente legato alla battaglia per la difesa del diritto alla vita, praticamente da pioniere, sin dai primi anni dell’introduzione della famigerata Legge 194. Faceva coppia con un altro grande difensore della vita, il professor Luigi Frigerio, primario e docente emerito nell’Università della Bicocca e nonché senior consultant al Policlinico San Pietro Bergamo. Su BergamoNews Frigerio rievoca efficacemente quegli anni:

«A causa del suo impegno a tutela dei nascituri, ha subito diversi processi ma non si lasciò scalfire. La legge introduceva la possibilità di effettuare l’aborto legalmente fino alla dodicesima settimana di gravidanza, mentre su indicazione medica sarebbe stato possibile ricorrervi fino alla ventiquattresima settimana di gravidanza. In quegli anni alla Mangiagalli furono tra i pionieri della diagnostica prenatale mirata a identificare feti imperfetti da eliminare mediante l’aborto selettivo o elettivo che dir si voglia. A fare la differenza era l’indicazione su base psicologica della madre: se fosse stata a conoscenza della presenza di un’imperfezione genetica sarebbe stata autorizzata a interrompere la gravidanza fino a 24 settimane di distanza dall’amenorrea, cioè dall’assenza di mestruazioni. Il 28 dicembre 1987 fece molto discutere il “caso Mangiagalli”, con l’interruzione di una gravidanza al quinto mese con un feto sano che era stato erroneamente ritenuto affetto da tripla x. Affiorò la notizia di 700 aborti eseguiti senza il certificato del giudice tutelare: si accese un dibattito molto intenso e divamparono le polemiche, che caratterizzarono il periodo che portò fino al 1981, quando si svolse il referendum che confermò la pratica dell’aborto secondo la legge 194. In un contesto molto complesso, il professor Aletti continuò la sua battaglia per la vita, contro l’aborto, che ancora oggi resta un argomento di discussione di grande attualità considerando il crollo delle nascite».

Aletti finì cioè sotto processo perché difendeva la vita da chi la distrugge con la morte, perché difendeva i più piccoli e dimenticati, perché si spendeva per i più indifesi e per gli ultimi.

Venne processato e patì per questo, non perché aggirasse la legge, taroccasse i dati, agisse di sottobanco, ma esattamente per il motivo contrario. Lo mandarono a processo perché pure la famigerata legge che in Italia consente l’aborto veniva e viene calpestata da chi non ne aveva e non ne ha mai abbastanza, da chi vuole sempre di più, da chi fa carte false persino per andare oltre quella norma esecranda.

È il paradosso del mondo dell’aborto: esiste una legge che malauguratamente lo consente e quella legge viene pervicacemente e sistematicamente violata da chi non si accontenta. Ed è il paradosso della bellezza profonda dell’animo umano, quello che pur dentro quella legge marcia combatte la battaglia sacrosanta per la vita.

Aletti era uno di questi uomini veri. Travolgente, appassionato, semplice e al contempo profondo. Se ora mi vantassi di una consuetudine con lui sarei un millantatore. Ho solo avuto occasione di scambiare qualche telefonata con lui e di parlargli in occasione di eventi pubblici. Confesso: l’ho fatto con ammirazione fanciullesca in presenza di un grande, con “invidia” di voler essere, io nel mio contesto, come lui, nel suo contesto.

Aletti parlava a tutti come si parla a un amico: senza mezzi termini, senza falsi rispetti umani, senza scorciatoie. Diceva la verità sempre, anche se ad alcuni quella verità era antipatica. Credo che nessuno, nemmeno gli amici più intimi sappiano davvero quanto e cosa «Leo» abbia fatto per la vita, i minimi dettagli di una esistenza spesa bene, i particolari, le cose che nessuno vede, le cose che si fanno perché è bene farle senza che vi sia il cronista a registrarle, le piccole cose nascoste che tracciano una trama apparentemente invisibile. Se ne rendono conto tutti, per esempio dal fatto che non si trovi sul web una sua foto decente, che non si trovino memoriali altisonanti. Il mondo che fa il male quotidiano è sordo al bene.

Aletti ci mancherà soprattutto per questo. Per il coraggio di essere uomo ogni istante anche che se nessuno vede, sente, riferisce. Per la sua bontà di amare la vita come il dono più prezioso. Per la sua grande fede. Sì, per la capacità di essere un eroe: cioè normale in temi anormali.

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