Last updated on Febbraio 23rd, 2020 at 04:03 am
È una notizia raccapricciante, quella riportata pochi giorni fa dal Corriere della Calabria e da altra stampa locale: un bambino da sei mesi nel grembo materno sarebbe stato abortito meccanicamente e farmacologicamente, e poi lasciato morire di stenti, una volta fuoriuscito dal corpo materno. Per intascare il premio di un’assicurazione.
I fatti risalgono al 2012, ma è di questi giorni la condanna della Corte d’Assise del tribunale di Cosenza per quattro persone coinvolte in una truffa assicurativa più ampia, individuate nel corso dell’indagine battezzata «Medical Market», coordinata dalla Procura di Castrovillari. Si tratta della madre, di un medico del pronto soccorso e di due complici, un uomo e una donna. I quattro, condannati non all’ergastolo ma a pene che vanno dai 23 ai 25 anni, avrebbero commesso l’infanticidio e poi inscenato un sinistro automobilistico, per intascare il denaro. Il reato configurato è quello di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione.
Se la notizia non fosse tanto tragica, verrebbe da rispondere con una battuta: “Bella scoperta!”. Per un motivo molto semplice: che cos’è, in realtà, l’aborto? Che cos’è, sempre e comunque, per evidenti motivi di ragione che dovrebbero essere chiari a tutti? Che cos’è, se non un omicidio, anzi un infanticidio?
Eppure non la pensa così la cultura dominante, ben rappresentata per esempio dal filosofo australiano Peter Singer, il quale, nel famoso Etica pratica, pubblicato nel 1979, afferma che pare che «[…] la vita di un neonato abbia meno valore della vita di un maiale», e che certamente un aborto possa essere comprensibile per non rinunciare a una vacanza. Evidentemente un buon premio assicurativo garantisce molte vacanze.
Non sono invenzioni, basta leggere e si comprende facilmente come una volta individuate vite “non degne di essere vissute”, per qualsivoglia motivo, la deriva è dietro l’angolo e la china precipita nell’orrore.
Non la pensa così neppure chi sbandiera la legge 194/78 come “progresso”, rispetto della donna e della sua salute, pilastro dell’autodeterminazione femminile. Perché oggi, in Italia, anche dopo i primi novanta giorni è consentito abortire in caso di anomalie genetiche o di malformazioni del feto, o di patologie materne come tumori o patologie psichiatriche. Quindi, secondo qualcuno alcune vite non “valgono la pena”, e a stabilire quali esse siano è evidentemente l’arbitrio di chi si trovi a deciderlo.
Altrimenti chi sostiene tale “diritto” della donna deve avere la bontà di spiegare perché in ospedale sarebbe “compassione”, e in automobile è omicidio.