La Scuola Chesterton contro l’asilo obbligatorio

Per il rettore Marco Sermarini si vuole togliere alla famiglia il compito di educare. Pronto anche lui a scendere in piazza

Bambino gioca asilo

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Last updated on marzo 6th, 2020 at 03:43 am

«Il problema della scuola italiana è uno solo: c’è dentro troppo Stato. Il compito dell’educazione dei figli spetta primariamente alla famiglia, qualsiasi tentativo di sottrarre alla famiglia questa libertà educativa proviene da un’ideologia ben precisa, che nasconde le proprie intenzioni sotto rassicuranti ragioni pratiche». Non ha dubbi Marco Sermarini, rettore della Scuola Libera G. K. Chesterton di San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, profondamente contrario alla proposta del viceministro all’Istruzione Anna Ascani che mira ad ampliare l’età della scuola dell’obbligo.

Secondo il viceministro, sarebbe meglio partire dai tre anni, rendendo così obbligatoria anche la scuola materna, e arrivare fino ai 18. L’idea della Scuola Libera è nata nel 2008 rileggendo proprio lo scrittore e giornalista inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), noto al grande pubblico in modo particolare per I racconti di Padre Brown e con cui “iFamNews” ha un legame particolare. Chesterton osservava e analizzava lucidamente la realtà del proprio tempo, scrivendo: «La gente è inondata, accecata, resa sorda e mentalmente paralizzata da un’alluvione di volgare e insipida esteriorità, che non lascia tempo per lo svago, il pensiero o la creazione dall’interno di sé». L’allarme del grande autore inglese, unito a quello lanciato da Papa Benedetto XVI nel 2008 sull’emergenza educativa, hanno portato alla nascita della scuola, che vuole creare una rete per supportare «famiglie vive e giovani veri, educati da altri uomini che prendano sul serio la loro vita».

Il viceministro Ascani vuole che i bambini vadano a scuola già a tre anni…

Quello che manca è una vera sussidiarietà, ovvero lo Stato che interviene solo dove i cittadini da soli non riescono ad arrivare. Viviamo in un sistema scolastico dove il primo che si sveglia inventa una riforma, e poi questa viene abbandonata a metà strada. Ormai diversi anni fa è stato esteso l’obbligo scolastico dai 14 ai 16 anni, molto bene: ma si parte sempre dall’idea che lo Stato debba controllare tutto e dire ciò che è bene e ciò che è male. Poi, tra il 2003 e il 2005, il ministro dell’istruzione Letizia Moratti estende l’obbligo formativo a 18 anni. Firma una riforma molto ampia, una riforma che aveva anche il suo perché, una sua visione complessiva, ma che viene completamente abbandonata quando cade il governo. Negli anni successivi quante altre riforme della scuola, abbozzate, abolite, approvate abbiamo avuto?

Allargare la forbice di età nella quale bambini e ragazzi devono obbligatoriamente frequentare la scuola ha suscitato la preoccupazione del leader de Family Day, Massimo Gandolfini, di Rete Liberale e anche di un laico come Daniele Capezzone. C’è altro dietro la proposta?

Siamo un Paese distopico strano. Non amo parlare male dell’Italia, però su questi temi si agisce quasi sempre in modo ideologico. Mi preoccupano molte cose di questa proposta: per esempio l’idea delle teorie gender, che in questo modo potrebbero inserirsi ancora di più nella scuola. Nel 2008, quando la nostra Scuola è nata, in Italia le teorie gender non esistevano ancora. Chi, come noi, cercava di stare attento a cosa succedeva nel mondo, forse aveva captato qualcosa da altri Paesi. In quegli anni leggevamo cose che ci lasciavano senza parole, per esempio sulla propaganda LGBT+ negli Stati Uniti d’America, eppure eravamo certi che queste cose da noi non sarebbero mai arrivate: eravamo sicuri che il Paese avesse anticorpi sufficienti. E oggi, invece, queste teorie sono anche qui, nelle nostre scuole. E ora lo Stato vuole farsi ancora più presente? C’è un’ideologia dietro? Certo, c’è questa idea che gira da 200 anni a questa parte, è una pretesa ideologica che muove queste riforme.

Ogni idea di educazione ha insomma alle spalle una visione del mondo…

È questa la trappola in cui rischiamo di cadere: mandare i figli a scuola prima può sembrare una cosa positiva, se ci si ferma a una lettura superficiale e forse poco lungimirante. Iniziando prima, i ragazzi si svegliano di più, cominciano a imparare prima, diventano più autonomi, i genitori sono più comodi, perché già a tre anni tutti i bambini sono all’asilo. La verità però è che dietro c’è l’idea di abdicare alla famiglia.

Gandolfini, proprio dalle pagine di “iFamNews”, ha lanciato la proposta di scendere in piazza contro questo provvedimento. Voi cosa ne pensate?

Siamo pronti, subito. L’abbiamo già fatto in passato e siamo pronti a rifarlo. Questa non è un’idea sana e le idee malsane vanno contrastate. Viviamo in un contesto politico in cui è difficile trovare realtà politiche che abbiano voglia di occuparsi realmente, con interesse e in buona fede, con competenza e con precisione, della famiglia. Realtà come la famiglia sono obbligate ad andare in piazza, perché altrimenti non c’è nessuno che si occupi di loro. Ma va bene così, noi siamo pronti, perché il futuro non può essere scritto senza la famiglia.

La vostra scuola è intitolata a Chesterton, un autore che ha sempre combattuto contro il conformismo, visto come uno dei pericoli più grandi per la libertà e per la democrazia. Cosa direbbe, secondo lei, Chesterton oggi di fronte a questi progetti?

In La mia fede”, Chesterton scrive: «L’attuale sistema sociale che, nella nostra epoca e nella nostra cultura industriale, subisce seri attacchi ed è afflitto da problemi penosi, è tuttavia normale. Mi riferisco all’idea che la comunità è costituita da alcuni piccoli regni nei quali un uomo e una donna diventano il re e la regina esercitando un’autorità ragionevole, soggetta al senso comune della comunità, finché coloro che essi educano diventano adulti e fondano regni simili ed esercitano a loro volta un’autorità simile. Questa è la struttura sociale dell’umanità, molto più antica di ogni sua cronaca e più universale di tutte le sue religioni; i tentativi di modificarla sono solo parole al vento e buffonate».

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