Last updated on marzo 19th, 2020 at 10:50 am
Preoccupati per la salute del corpo e in preda al panico per la morte che incombe, senza curarsi della psiche (per non dire dell’anima). Così, oltre a guanti, mascherine e gel disinfettante, in Italia sta andando a ruba la pornografia online, anche perché è largamente offerta a titolo gratuito.
Benché siano risuonati appelli a fermare anche l’industria del sesso, qualcuno si è perfino convinto che il voyeurismo a distanza aiuti a rimanere in casa e così non rischiare di contagiare il prossimo o di farsi contagiare. Quindi si sa già come risponderebbero alle perplessità alcuni tra medici e responsabili della protezione civile: “Meglio così, finché dura l’emergenza”.
Successivamente, se si sottoponesse la popolazione a un test sulla pornodipendenza, che non consiste nel numero di fazzolettini utilizzati durante la permanenza forzata, ma in un esame di coscienza realizzato con l’aiuto di alcuni professionisti, come il Sexual Addiction Screening (SAST) e la prova di Internet Sex Screening (ISST), si potrebbe mappare meglio la diffusione del fenomeno. Ma ovviamente l’esperienza di disagio dei sexaholic finisce per essere banalmente catalogata fra le “scelte personali”, anche se queste hanno risvolti sociali spaventosi pure dal punto di vista della salute pubblica, come del resto il dilagare del consumo di cannabis. Solo l’assolutizzazione della libertà di coscienza impedisce di valutare la portata distruttiva di un assoggettamento incontrollato della ragione alle passioni disordinate, arrivando addirittura a oscurare la realtà e le dimensioni di uno sterminio di massa come l’aborto.
In realtà quando si potrà tornare a circolare liberamente sulle strade popolate e a riunirsi senza timori emergerà solo in parte la profondità del disastro relazionale prodotto dal ricorso a forme di erotismo online. In superficie potrà forse evidenziarsi un mutamento di abitudini, cioè una tendenza al vizio e alla volgarità. Dal punto di vista non solo morale – e della morale sociale –, ma anche neurologico e dell’equilibrio interiore delle persone, la parte invisibile dell’iceberg è ben più imponente. Lo spiega bene una serie di tre filmati in cui si dà la parola ad alcuni scienziati internazionali così come ad alcune persone che si sono liberate dalla schiavitù del sesso virtuale e alle organizzazioni che ne combattono gli effetti collaterali diretti e indiretti, quali il traffico di esseri umani, l’adescamento e lo stupro anche di minorenni, lo sfruttamento della prostituzione, lo spaccio di droghe e la violenza domestica.
Vale quindi la pena di prendere in considerazione l’iniziativa di chi, come Laila Mickelwait, ha lanciato una petizione per chiudere PornHub e incriminarne i gestori per complicità con reati orrendi, ma – spiega a “iFamNews” – intende promuovere anche un’applicazione più stretta e un adeguamento legislativo al racket miliardario che si maschera dietro l’anonimato del web per garantirsi l’impunità. L’industria della pornografia fattura, solo negli Stati Uniti d’America, 12 miliardi di dollari e, secondo alcune stime, vale globalmente 100 miliardi di dollari.
Un’immunità di massa dalla schiavitù dell’oscenità e dal turpe commercio di persone, tuttavia, non si potrà raggiungere senza uno sforzo per salvare anche le singole vittime. Un metodo per curarsi c’è e i danni, perfino quelli psicologici e alla corteccia cerebrale, provocati dalla visione di filmati che tolgono dignità agli esseri umani, possono essere riparati. Da soli, tuttavia, è piuttosto improbabile riuscire a liberarsi. Perciò esistono numerose opportunità di affrancarsi, nate da un percorso di recupero, come quello proposto dall’associazione Puri di Cuore, che offrono assistenza e allo stesso tempo indicano altre strade, oltre a impegnarsi in una battaglia culturale attraverso la pubblicazione di libri e la traduzione di saggi, quali Uscire dal tunnel. Dalla dipendenza da pornografia all’integrità dello psicoterapeuta statunitense Peter C. Kleponis, che gode di una prefazione del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. L’informazione e la formazione servono a creare maggiore consapevolezza sulla piaga, che affligge milioni di uomini, di donne e di bambini. Si consiglia la distanza di sicurezza, ma in questo caso una quarantena non basta.