La procreazione medicalmente assistita non è la soluzione alla crisi demografica

Occorre prevenire il più possibile l’infertilità dilagante, invece di tentare di “curarla” in extremis

Neonato in ospedale

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«Prevenire è meglio che curare»: un tormentone degli anni 1980, ma con un fondamento logico. Per evitare un problema, cioè, è necessario impegnarsi per non giungere troppo tardi a tentare di risolverlo. Si diceva per le carie dentali, ma è uno slogan che calza in diverse occasioni. Una di queste è certamente il problema della crisi demografica legato all’infertilità dilagante.

Chi fosse dell’opinione, come il dottor Filippo Ubaldi, presidente della Società italiana di Fertilità e Sterilità – Medicina della Riproduzione (SIFES-MR), che l’inverno demografico possa essere reso più tiepido senza occuparsi piuttosto di prevenirlo, evidentemente non ricorda quello slogan. Insieme a lui anche Luca Mencaglia, coordinatore del Tavolo tecnico per la ricerca e la formazione nella prevenzione e cura dell’infertilità, istituito presso il ministero della Salute, che afferma che «l’Italia si trova nella morsa di una drammatica riduzione delle nascite e l’apporto della PMA potrebbe essere molto maggiore se si dedicassero a questa disciplina più fondi».

Il ministero della Salute, tuttavia, diffonde informazioni diverse, tra le quali spicca il fatto che «[…] la fertilità è quindi un bene da tutelare fin da giovane età», se le donne che ricorrono alla fecondazione extracorporea hanno mediamente 36 anni e si rivolgono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) magari dopo un decennio di tentativi o di comportamenti dannosi, per contrastare i quali nessuno le aveva educate. Inoltre, non se la prendano Ubaldi e Mencaglia, i trattamenti finalizzati alla fecondazione extracorporea non sono salutari né per la donna, né tantomeno per i bambini.

Da un altro documento emesso dal medesimo ministero, emerge come l’infertilità sia causata in modo drammatico da patologie ormonali e da infezioni sessualmente trasmissibili. È proprio qui che la battaglia si gioca sulla prevenzione: in entrambe le situazioni, sia per le patologie sia per le infezioni, la prevenzione è fondamentale, sin dalla più tenera età.

Per quanto attiene le prime, conoscere la propria fisiologia è per le donne fondamentale proprio e soprattutto in questi casi. E che dire della prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili, terribili e gravissime? La diffusione di comportamenti sessuali scorretti e dalle conseguenze dannose, per la salute generale e per la fertilità, sia fra le donne sia fra gli uomini, spesso viene contrastata solamente con l’indicazione di usare il preservativo, il che è sbagliato e pericoloso.

Purtroppo la “toppa” della fecondazione extracorporea è peggio dello “strappo” dell’infertilità e questa politica al contrario del «curare è meglio di prevenire» porta a danni enormi per la salute e nelle proposte finalizzate a risollevare la natalità. Ciò che non si vuole promuovere rispetto alle donne, e si sa che se vi si rivolgessero loro gli uomini le seguirebbero, è la cosiddetta fertility awereness, la consapevolezza della propria fertilità, proprio come racconta e spiega da anni la dottoressa Raffaella Pingitore, esperta di naprotecnologie.

Raffaella Pingitore, nel 2018, al convegno per il 50° anniversario di pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae di Papa san Paolo VI (1897-1978)

La cura, insomma, peggiore della malattia.

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