Aborto, la pillola smacchia-coscienza

Una donna la prende comunque. Se è incinta, abortisce

Pillola abortiva

Last updated on Gennaio 13th, 2021 at 05:55 pm

L’aborto è omicidio, le donne che lo compiono lo sanno e ne soffrono. E gli ultimi 50 anni di femminismo educativo non hanno eliminato questa realtà cruda e tragica. Non c’è infatti pillola che possa eliminare la coscienza: anzi. Le nuove pillole, oltre alla sofferenza personale, comportano rimorsi perenni.

Ebbene, un articolo di apertura di The New York Times, uno dei quotidiani più letti nel mondo, promuove ora un nuovo tipo di contraccezione per le donne impaurite dallo “stigma” dell’aborto. È chiamata «Missed-period pill» (MPP). È stata ispirata da un servizio offerto in Bangladesh durante la breve ma sanguinosa guerra d’indipendenza che quel Paese ha combattuto contro il Pakistan nel 1971, quando si stima che centinaia di migliaia di donne siano state stuprate.  Poiché in Bangladesh l’aborto era illegale il governo di Dacca ha permesso l’interruzione volontaria della gravidanza per un periodo di tempo limitato purché le donne non fossero in possesso di un test di gravidanza. Bastava cioè che una donna “dimostrasse” di non sapere di essere incinta. L’eufemismo usato era «regolazione mestruale».

Sul periodico Contraception alcuni ricercatori statunitensi hanno pubblicato i risultati di un sondaggio. A un certo numero di donne è stato chiesto se fossero interessate a una pillola che, provocando un’emorragia simile alle mestruazioni, ne avrebbe interrotto la gravidanza in un numero molto elevato di casi. Ovviamente le donne che avessero assunto il preparato non avrebbero mai saputo se fossero incinte o meno. Ebbene, i risultati della ricerca ha dimostrato che il 42% delle donne intervistate e il 70% di quelle che tra loro si sono dette infelici in caso di gravidanza ha dichiarato interesse per la commercializzazione e l’uso della MPP.

Sono peraltro i ricercatori stessi a dire che si tratta di un dato psicologico significativo : dopo decenni di femminismo molte donne sembrano ancora vergognarsi di avere abortito. L’aborto è appunto omicidio, le donne che lo compiono lo sanno e ne soffrono. E gli ultimi 50 anni di femminismo educativo non hanno eliminato questa realtà cruda e tragica. Eppure The New York Times, colto di sorpresa da questi risultati e assertore convinto della liberalizzazione dell’aborto così come della sua banalizzazione definitiva, ha colto la palla al balzo per esaltare l’importanza della pillola MPP come «cuscino psicologico» per quelle donne «che potrebbero non essere sicure dei propri sentimenti sull’aborto». Con la MPP ci sarebbero cioè «meno conflitti morali» e le donne si sentirebbero «meno colpevoli per la scelta effettuata».

Il ricorso alla MPP e l’enfasi che a questa ennesima kill pill dà il quotidiano statunitense dimostrano quanto il senso della maternità sia ben più radicato nelle donne di qualsiasi lavaggio del cervello. Si scopre cioè adesso che una pratica promossa come facile, indolore e banale non ha invece convinto per nulla le donne. L’articolo di Contraception conferma, tra l’altro, la sofferenza psicologica profonda delle donne che hanno abortito, molte delle quali, oltre alla sofferenza per il gesto in sé, vivono pure quella della “stigmatizzazione” sociale. Ma ecco finalmente la MPP, la prima pillola, almeno nelle intenzioni dei promotori, che libererebbe la coscienza delle donne che vogliono abortire. Una follia, ovvio. In realtà è molto più probabile che le donne, prese dai rimorsi per non avere voluto sapere se fossero incinte e se quindi la pillola le ha fatte abortire sul serio, vedano aumentare anziché diminuire il tormento. La cecità intenzionale o l’ignoranza artificiosa (quella di chi cerca di evitare la responsabilità per un atto illecito tenendosi intenzionalmente all’oscuro del crimine commesso) provocano infatti un’angoscia tremenda: è tipico della natura umana rimpiangere tanto quel che sarebbe potuto succedere quanto quel che è successo.

Image source: White pills, photo by ProjectManhattan from Wikimedia Commons, self-published work, licensed by CC-BY-SA-3.0

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