Anche questo 20 gennaio, nell’anniversario della sentenza della Corte Suprema Roe v. Wade si è svolta la cinquantesima Marcia per la vita a Washington per «riunirci insieme a celebrare la vita», festeggiare le vittorie ottenute nell’ultimo anno e concentrarsi sui «prossimi passi» da intraprendere.
La Marcia per la vita americana è la più grande manifestazione pro-life al mondo e quest’anno ha molto da festeggiare: lo scorso giugno, infatti, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto, in vigore dal 1973, restituendo ai singoli stati la libertà di decidere se legalizzare o meno l’interruzione di gravidanza e come regolamentarla.
Il ribaltamento della Roe v. Wade e della Planned Parenthood v. Casey è sempre stato il grande obiettivo dei pro-life americani, raggiunto dopo 50 anni di instancabile e pacifica militanza. Impossibile, da questo punto di vista, non guardare come a un modello agli Stati Uniti, che anche grazie ai pro-life hanno saputo tenere aperto un dibattito che sembrava chiuso, non solo dalle sentenze della Corte Suprema, ma soprattutto dall’orientamento a senso unico della grande stampa americana.
Il variegato movimento pro-life, invece, battendosi stato per stato e legge per legge, ha saputo mantenere viva la grande battaglia culturale e scientifica che soggiace al tema dell’aborto: quella sul feto, che non è un soltanto un grumo di cellule ma un bambino.
Ed è per continuare a portare avanti questa battaglia culturale che, nonostante la vittoria giudiziaria, la Marcia per la vita prosegue. L’obiettivo, infatti, è quello di «costruire una cultura della vita negli Stati Uniti. Purtroppo, il numero degli aborti ogni anno supera di molto i 900 mila e dopo la cancellazione della Roe v. Wade questo numero dovrebbe calare di appena 200 mila unità all’anno».
Pur essendo le leggi il principale e quotidiano terreno di scontro in America, «il nostro lavoro più importante è quello di cambiare i cuori e le menti. L’obiettivo della Marcia nazionale per la vita non è solo quello di cambiare le leggi a livello statale e federale, ma di cambiare la cultura perché l’aborto diventi semplicemente inconcepibile».