I genitori, gli insegnanti e gli studenti italiani sono stati a lungo alle prese con la didattica a distanza, l’ormai famigerata «DAD», e sanno bene quali possano essere le difficoltà che essa comporta, fra appartamenti sovraffollati, connessioni traballanti e problematiche annesse e connesse. Esistono sui social media profili più o meno spiritosi che vivono ormai solo di questo. Ora, forse, il peggio è passato.
In ogni caso, non per fare “benaltrismo” di facciata, ma immaginare cosa possa significare la chiusura delle scuole in Paesi diversi da questo, in cui bambini e ragazzi vivono realtà complesse talvolta di grande privazione culturale e non solo, risulta impressionante.
È questo il caso dell’India. 1,38 miliardi di abitanti contati nel 2020, un territorio dalla geografia estremamente varia, folle, persone, religioni: il sub-continente indiano anche a causa della pandemia da CoVid-19 si trova in una situazione di difficoltà estrema, che colpisce in modo particolare le generazioni più giovani.
A questo proposito, sul quotidiano statunitense The New York Times, ripreso nel nostro Paese dal Corriere della Sera, Emily Schmall e Samir Yasir scrivono: «Per anni, l’India ha puntato sul proprio immenso serbatoio di giovani come fonte della crescita per il futuro, un “dividendo demografico”, come molti lo definiscono. Ora, dopo due anni di pandemia da coronavirus, quel che appare è piuttosto la perdita di una generazione, che manda in pezzi i sogni middle class di famiglie che cercavano opportunità migliori per i propri figli».
Nel Paese centinaia di milioni di studenti non hanno potuto accedere, o quasi, all’istruzione e alla didattica in presenza. Le scuole sono rimaste chiuse a intermittenza fin dall’inizio della pandemia e l’UNICEF ha stimato che le chiusure abbiano riguardato 1,5 milioni di istituti delle scuole elementari e medie, mentre ammonta a 247 milioni il totale degli studenti coinvolti.
Nonostante il sistema scolastico indiano presentasse difficoltà importanti anche prima della pandemia, soprattutto per quanto riguarda i poveri e le classi sociali più basse, oggi la situazione è preoccupante: «Fino al momento della pandemia, l’India stava riscattando dalla povertà milioni di persone e basava sull’istruzione le speranze di maggior crescita economica». Secondo la Banca Mondiale, però, il governo indiano ha tagliato la spesa per l’istruzione dal 4,4% del PIL nel 2019 al 3,4% nel 2020, e ora si rischia di «[…] condannare un’altra generazione al lavoro manuale e irregolare».
Come spesso accade, a farne le spese sono i più fragili: «Le ragazze tornano a sposarsi fin da bambine e i ragazzi abbandonano la scuola per andare a lavorare. Don Nicholas Barla, un sacerdote cattolico che ha speso decenni lavorando in scuole delle comunità rurali, dice di aver visto, nei suoi viaggi recenti negli angoli più remoti dell’India, ragazzini avvolti dalla noia e dall’isolamento. “La crescita intellettuale che avrebbe dovuto aver luogo si è interrotta — dice — ed è tragico perché l’istruzione è il solo sentiero che porti fuori dall’oscurità e dalle miserie della povertà rurale”».
Dal punto di vista economico la situazione rischia di volgersi al peggio: «Di solito, quando una larga fetta di popolazione entra nel mondo del lavoro si concretizza un vantaggio economico. Ma ora potrebbe dimostrarsi un peso, perché i giovani non istruiti e i disoccupati, in un Paese a welfare state come l’India, potrebbero finire per consumare una percentuale di risorse troppo elevata, per esempio per farmaci gratuiti e sussidi alimentari».
Un ultimo aspetto, in questa situazione, colpisce in modo particolare: «Con le scuole chiuse, molti ragazzi non hanno da mangiare. Tante famiglie dipendono dai pasti scolastici gratis per i bisogni nutrizionali dei loro figli».
Significa, in parole semplici, che spesso i bambini indiani mangiano solo a scuola. Solo una volta al giorno. E ora che le scuole sono sempre più spesso chiuse, i bambini indiani non mangiano. Neanche una volta al giorno. Alla faccia dei diritti dell’infanzia.