Last updated on Settembre 4th, 2020 at 04:45 am
«Finché c’è vita, c’è speranza» è solo uno dei tanti proverbi che invitano all’ottimismo anche in avversità gravi e contro ogni rassegnazione. Finché c’è vita, appunto: invece qui si parla, senza giri di parole, di morte.
Il riferimento è all’aberrante legge sulla bioetica approvata dall’Assemblea nazionale di Francia, con passo felpato, di notte, fra il 31 luglio e il 1° agosto.
La flebile speranza che non muore risiede ora nel Senato della Repubblica francese, che ha in deposito, per la seconda lettura, il testo approvato nell’Assemblea, e dovrà riunirsi a propria volta in seduta pubblica, presumibilmente il mese prossimo.
L’iter legislativo, in Francia, prevede infatti che il testo di legge venga presentato all’Assemblea nazionale per una prima lettura e che passi poi al Senato, il quale può approvarlo direttamente oppure indicare la necessità di modifiche e rimandarlo pertanto all’Assemblea, che, dopo avere apportato i necessari emendamenti, deve approvare la legge e rinviarla al Senato. In gergo tecnico questa procedura si chiama navette.
Ci si trova ora a questo punto del percorso, con una legge approvata con 60 voti contro 37, presenti soltanto 101 deputati su un totale di 577 che compongono l’Assemblea.
Il caso passa quindi al Senato e la speranza ‒ appunto ‒ è che i senatori boccino irrimediabilmente una legge che ammette per esempio il libero accesso alla fecondazione assistita eterologa per chiunque, la “doppia maternità”, la fecondazione post mortem, la diagnosi preimpianto di aneuploidie, la creazione di embrioni chimera, tutti “dettagli” di cui “iFamNews” ha già dato conto ai lettori a ridosso della discussione della legge.
Purtroppo, però, anche in tal caso ci sarebbe ben poco di cui gioire, poiché l’iter prevederebbe a quel punto che la legge venisse valutata da una Commissione mista paritetica (CMP), composta da sette deputati e da sette senatori, e che, in caso di disaccordo, torni per l’approvazione definitiva all’Assemblea nazionale: difficile supporre che quest’assise abbia nel frattempo mutato parere. Basti guardare l’analisi dello scrutinio e come si sono espressi, per alzata di mano dei deputati, i vari partiti.
Ma che cosa, oltre al resto, è particolarmente preoccupante nel testo di legge, tale da far balzare sulla sedia il mondo pro life in Francia e non solo?
Un emendamento all’Articolo 20, aggiunto all’ultimo momento, presentato dal blocco Socialista e dai suoi alleati abituali, frutto del lavoro della Délégation aux droits des femmes e purtroppo approvato. Recita testualmente che l’aborto, «[…] à toute époque», cioè a qualsiasi settimana di gestazione, previa consultazione di un pool composto di medici e di psicologi, è lecito nel caso in cui la gravidanza rappresenti un pericolo per la salute della madre, pericolo che «[…] pouvant résulter d’une détresse psycho-sociale». Può cioè essere generato semplicemente da una situazione di disagio psico-sociale.
Il significato di queste parole è molto chiaro a chi si sia occupato almeno un poco di temi legati all’interruzione volontaria di gravidanza: si tratta dello “sdoganamento” dell’aborto sino al nono mese di gestazione, sino al momento del parto, sulla base di un criterio, il disagio psicologico o sociale, che con grande difficoltà può essere determinato univocamente e con sicurezza.
Laddove, invece, una cosa è sicura e deve essere determinata univocamente: un bambino nel grembo materno è, appunto, un bambino, benché furbescamente chiamato nel testo di legge con altri nomi, «feto», «embrione», insomma quello che qualcuno considera meramente un «grumo di cellule». Ma un bambino non è un «grumo di cellule»: non lo è alla quarantesima settimana di gravidanza come non lo è alla prima.
E a chi obietta che, però, certamente le commissioni di medici e psicologi vigileranno sull’applicazione corretta della legge, scongiurando il rischio di abusi o di leggerezze, risponde una ricerca effettuata nello Stato di Victoria, in Australia, dove una legislazione analoga è già in vigore dal 2008 e dove un rapporto del Consultative Council on Obstetric and Pediatric Mortality riporta dati raccapriccianti rispetto al numero degli aborti tardivi di bambini, per giunta, perfettamente sani, per sole ragioni psico-sociali.
In dodici anni, secondo il rapporto, 1.418 bambini sono stati abortiti fra la ventesima settimana di gestazione e il momento previsto per il parto, per il disagio psicologico o sociale della madre che li portava in grembo.
Il Consultative Council cita inoltre un’altra questione cruciale dal punto di vista bioetico: quella dei bambini nati vivi dopo un aborto tardivo non riuscito e lasciati morire. Evento non così remoto in caso di interventi a uno stadio avanzato di gravidanza, se solo nel 2012 sarebbero stati 53.
Ma è inutile sorprendersi: se è lecito abortire per mantenere la linea o per partire in vacanza, allora un maiale vale più di un neonato, con buona pace di chi riesce, pensandola in questo modo, a guardare in faccia, per dirne una, i propri figli.