Last updated on Luglio 8th, 2020 at 07:39 am
In Africa, diversi Paesi sono sotto l’attacco sistematico di alcune potenze occidentali (per esempio il Canada), delle lobby e delle istituzioni internazionali che spingono affinché si introducano misure a favore dell’agenda LGBT+ e dell’aborto.
Gabon
Martedì 23 giugno il parlamento ha depenalizzato i rapporti omosessuali. 48 membri della Camera bassa hanno infatti appoggiato una proposta di legge che rivede un articolo della norma varata dal nuovo governo nel 2019, che prevede sei mesi di carcere e una multa di 5 milioni di franchi CFA (pari a 8.500 dollari statunitensi) e che aveva fatto del Gabon il 70° Paese a vietare i rapporti omosessuali. Ora, è bene che i comportamenti sessuali privati di qualunque cittadino non vengano criminalizzati: tuttavia questi repentini e contraddittori cambi di legislazione fanno temere che il Gabon possa pensare presto all’introduzione di insegnamenti LGBT+ nelle scuole e a equiparare il matrimonio naturale con le unioni gay. I 24 voti contrari espressi il 23 giugno e i 25 astenuti mostrano comunque quanto il tema sia ancora controverso.
Kenya
I vescovi cattolici sono preoccupati per la possibile introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole e per la legalizzazione dell’aborto, cui il Paese sta pensando per frenare il numero enorme di gravidanze che si registra fra le adolescenti e le minorenni. Secondo un sondaggio condotto da Kenya Health Information Systems, oltre 150mila ragazze sono rimaste incinte durante la chiusura della scuola per la pandemia da coronavirus. I concepimenti sarebbero avvenuti tra gennaio e maggio, e avrebbero interessato ragazzine e ragazze di età compresa tra i 10 e i 19 anni.
In una dichiarazione trasmessa in diretta televisiva il 21 giugno, monsignor Joseph Ndembu Mbatia, presidente della Commissione episcopale per la salute, afferma: «Ribadiamo la convinzione che i valori familiari forti, e la responsabilità personale nella cura e nella tutela dei bambini siano fondamentali per eliminare o ridurre significativamente lo sfruttamento sessuale dei bambini e le gravidanze che vi conseguono tra gli adolescenti».
Sull’altro fronte, preoccupato per la proposta di legge in discussione al Senato, l’episcopato ha promosso una petizione per fermare la liberalizzare dell’educazione sessuale nelle scuole.
Pare proprio che il summit di Nairobi, voluto l’anno scorso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, stia insomma maturando i propri frutti.
Marocco
La polizia ha arrestato 11 persone per avere operato aborti illegali in un Paese dove l’interruzione volontaria della gravidanza resta punita con il carcere (da uno a cinque anni per chi la procura, tra sei mesi e un anno per la donna che la subisce), l’argomento è oggetto di ampio dibattito pubblico, ma il governo continua a essere fortemente contrario.
La sicurezza nazionale dichiara di avere avviato un’indagine dopo avere «ricevuto denunce contro una clinica che compie aborti illegali» nella città turistica di Marrakech. Il medico, 77enne, proprietario della clinica, quattro infermiere e sei ragazze, tra cui una diciassettenne, sono stati arrestati con varie accuse, tra cui aborto illegale, stupro, adulterio e complicità in questi reati.
Benché nel 2015 il Marocco abbia cominciato a parlare della «necessità urgente» di riformare la legislazione a fronte di centinaia di aborti clandestini quotidiani, nessuna variazione è stata approvata: la maggioranza della popolazione e dei partiti è e resta infatti pro life.
Namibia
Da qualche settimana si discute della possibilità di legalizzare completamente l’aborto in un Paese dove, secondo la legge in vigore dal 1975, interrompere volontariamente la gravidanza è possibile solo in pendenza di grave rischio per la salute della madre o in ragione di rapimento o incesto. Il fronte contrario ha lanciato una petizione online, che in una settimana ha raccolto 4.736 firme.
A far scattare la sfida è stata la lettera aperta pubblicata sui social media da una donna, Beauty Boois, che chiede apertamente la legalizzazione dell’aborto, affermando che per far valere il proprio diritto di scelta oggi le donne namibiane non hanno altro modo se non infrangere la legge mettendo a rischio vita, salute e benessere. Il viceministro della Sanità, Esther Muinjangue, ha dunque portato, il 25 giugno, la discussione in parlamento con gli attivisti per i “diritti umani” che chiedono che le Chiese restino fuori dalla discussione perché «non conoscono il problema delle donne». Ma in realtà è la Chiesa Cattolica a promuovere e a gestire decine di ospedali e di cliniche in tutto il Paese.