Last updated on Ottobre 13th, 2021 at 02:54 pm
In Italia si è abituati a considerare talvolta scappatoie da azzeccagarbugli le osservazioni invece legittime di non luogo a procedere qualora l’organo deputato non ne abbia le competenze o l’obbligo, quasi si trattasse di una pilatesca lavanda delle mani.
Altrove, invece, ciò rischia di salvare alcune vite e questo rallegra, oh sì, rallegra molto.
In Irlanda del Nord, nell’Alta Corte di Belfast, John Larkin, membro del Queen’s Counsel e già ministro della Giustizia dal 2010 al 2020, parlando a nome della Society for the Protection of Unborn Children (SPUC) lo ha detto chiaro e tondo: il parlamento nord-irlandese non ha alcun obbligo di obbedire a quello del Regno Unito per quanto riguarda l’implementazione di procedure che favoriscano l’aborto nel Paese. La legge infatti non lo impone.
La vicenda riveste aspetti squisitamente burocratici e amministrativi, che rischiano però di avere un impatto forte e negativo sul contrasto all’aborto nel Paese. In luglio infatti Brandon Lewis, segretario di Stato per l’Irlanda del Nord, forte dei poteri straordinari conferitigli dal governo britannico in aprile, ha imposto al ministero della Salute e al Consiglio Regionale per la Sanità e l’Assistenza Sociale irlandesi nuove procedure e nuovi mandati per rendere gli aborti «più prontamente disponibili».
In pratica le interruzioni volontarie di gravidanza, che attualmente sono fornite dai singoli enti sanitari e di assistenza sociale, a partire dal 31 marzo 2022 dovrebbero invece essere gestiti a livello nazionale, con una diffusione più precisa e purtroppo capillare sul territorio, nel nome di una presunta eliminazione della discriminazione femminile. Parola d’ordine: «rendere l’aborto più facilmente accessibile alle cittadine nord-irlandesi».
Alla base vi è il riferimento a un rapporto del 2018 di un comitato delle Nazioni Unite, la Commissione per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW), in nome della solita questione della difesa della «salute sessuale e riproduttiva». La consueta aria fritta che si traduce, ormai lo sanno tutti, in aborti e cosiddetta contraccezione d’emergenza.
Fortunatamente, c’è un Primo ministro nell’Irlanda del Nord, e già all’inizio dell’anno Paul Givan aveva fatto presente di non approvare la deriva abortista promossa da Londra, e che avrebbe fatto il possibile, percorrendo ogni via politica e legale prevista e possibile, per evitarla. Parole confermate successivamente durante un’intervista rilasciata alla BBC in luglio.
Altrettanto fortunatamente, anche la Chiesa presbiteriana d’Irlanda si è espressa con decisione e vigore contro l’ipotesi della nuova normativa.
Del resto, come ha spiegato nel discorso tenuto davanti alla High Court John Larkin, Londra non può imporre a Belfast di obbedire a tale obbligo perché tale obbligo, semplicemente, non sussiste: «A minister of the Crown cannot boss people about unless the law gives them power to do it and act in accordance with his edict, and this doesn’t».
E ha aggiunto: «The Northern Ireland Office may wish such a provision had been made, it may be bitterly regretting it now, but in these regulations as it stands there is no obligation to comply with them», «l’Ufficio dell’Irlanda del Nord [presieduto da Brandon Lewis] potrebbe desiderare che tale disposizione fosse stata presa, potrebbe pentirsi amaramente ora [che non sia stato fatto], ma in queste norme così come sono non vi è alcun obbligo di rispettarle»
Tutto ciò, comprensibilmente, non significa vincere la guerra, ma vince almeno una battaglia, questa singola battaglia, e conforta nella quotidiana fatica di essere pro-life in un mondo sempre meno favorevole alla vita e ai nascituri. L’Alta Corte si esprimerà, in futuro, si spera in modo giusto.
Per ora, Stormont batte Westminster 1 a 0.
Per i lettori interessati a questo argomento, si segnala che «iFamNews» ha dedicato all’Irlanda del Nord numerosi articoli.