Gli abortisti tornano a minacciare la Polonia

Pubblicata la sentenza che vieta di sopprimere i disabili: riesplode la protesta

Image from Wikimedia Commons

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Last updated on Febbraio 4th, 2021 at 09:01 am

Ci risiamo. La Polonia è di nuovo in stato di allerta. La pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della sentenza della Corte costituzionale che vieta l’aborto in alcune specifiche circostanze ha agito come un detonatore. Già mercoledì sera, appena la notizia si è diffusa, numerosi militanti dell’estrema Sinistra e dei gruppi femministi sono scesi in strada. La mobilitazione, che sta coinvolgendo una quarantina di città, è stata definita dalle organizzatrici uno «sciopero delle donne» contro la decisione dei giudici. La mente torna a fine ottobre, quando schiere di facinorosi sputarono il loro fiele sulle chiese a seguito della sentenza della Corte.

La sentenza

I disordini dell’autunno sono riusciti a far ritardare la pubblicazione della sentenza, attesa inizialmente il 2 novembre. Non ne hanno però impedito l’entrata in vigore. Ma cosa stabilisce esattamente la contestata decisione? La Corte Costituzionale era stata chiamata in causa da un centinaio di parlamentari, per lo più del partito di governo Diritto e Giustizia (PiS), i quali rilevavano come l’aborto per malformazioni del feto violasse i princìpi della Costituzione polacca, che tutela la vita di ogni individuo. Nel Paese l’aborto è stato introdotto la prima volta nel 1956 dal regime socialista; nel 1993 è stato limitato solo nei casi di pericolo di vita per la madre, stupro, incesto, pedofilia e, appunto, grave malformazione del feto.

Mai più soppressioni di disabili

Una sentenza, la loro, che dovrebbe portare a una drastica riduzione degli aborti: basti pensare che nel 2019, su 1.110 interruzioni di gravidanza registrate in Polonia, 1.074 sono avvenute dopo la scoperta di malformazioni o patologie del feto. La Corte polacca potrebbe perciò salvare la vita a bambini con anomalie fetali e disabili, tra i quali quelli con sindrome di Down. A tal proposito risuona ancora come un terribile memento la denuncia che una giornalista polacca pubblicò nel 2016: un bambino affetto da sindrome Down, sopravvissuto all’aborto alla 23esima settimana di gestazione, veniva lasciato morire tra le sue urla strazianti in un ospedale di Varsavia. Un fatto lacerante, che ha avuto un impatto enorme sulla coscienza del popolo polacco.

Le reazioni

Ma il tragico destino di quel bimbo non ha generato commozione pubblica e vibrante al di fuori dei confini polacchi. E resta ora da vedere quali saranno le conseguenze di un atto così in controtendenza della Polonia rispetto a un’Europa ossequiente all’agenda radicale. Già in autunno Bruxelles aveva reagito con veemenza contro la sentenza della Corte polacca. Dapprima il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, aveva tuonato: «Rimuovere la base per quasi tutti gli aborti legali in Polonia equivale a un divieto e viola i diritti umani». Poi si era espresso il Parlamento europeo, votando a maggioranza una risoluzione che condannava la sentenza e accusava il governo polacco di ledere lo stato di diritto.

Lo zampino di George Soros

Condanne che sono rimbalzate anche sulle bocche di esponenti dell’opposizione in Polonia. Rafal Trzaskowski, sindaco di Varsavia considerato un’icona anti-sovranista, ha detto che la decisione di pubblicare in Gazzetta la sentenza va «contro la volontà dei polacchi». Molti cittadini polacchi, in effetti, come dimostrano le manifestazioni, non apprezzano affatto il divieto di abortire bambini disabili. C’è chi sta imbastendo azioni legali per rivendicare il diritto di interrompere la gravidanza. Come forse anche chi, da dietro le quinte, corrobora a suon di danari il dissenso: l’istituto legale polacco Ordo Iuris ha evidenziato l’influenza finanziaria del magnate George Soros sulle cosiddette «black protest». E nero è di nuovo l’umore di una Polonia turbata da chi invade le strade dichiarando guerra.

Image sourceTrybunał Konstytucyjnyphoto by Lukas Plewnia from Wikimedia Commons, self-published work, licensed by CC-BY-2.0

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