Last updated on Febbraio 7th, 2021 at 10:43 am
Diciott’anni. L’età giusta per iniziare a studiare i quiz della patente, preoccuparsi per l’esame di maturità oppure per vincere, la più giovane “artista” di sempre, cinque Grammy Awards. Accade a una inquietantissima ragazzina statunitense classe 2001, originaria di Los Angeles. Si chiama Billie Eilish ed è la pop star più importante per la generazione Z. Tanto per capirsi, sarà suo il tema portante della colonna sonora del prossimo film di James Bond, segno che Billie, pur essendo una ragazzina, gioca nel mondo dei grandi. E dal mondo dei grandi è osannata, tanto che un Justin Bieber “ha collaborato con lei” al remix di Bad Guy e ha cantato – meravigliosamente – alla notte degli Oscar.
La storia è di quelle che si ha voglia di sentir raccontare: scrive e canta fin dagli 11 anni, con il fratello, in cameretta. A 15 anni pubblica un video sulla piattaforma Soundcloud, Ocean Eyes: immediatamente ottiene un contratto dalla major Universal e già nel 2017 è in tour in Europa. L’anno scorso si è esibita al Coachella 2019, e a Milano il suo concerto al Fabrique è andato sold out. Tornerà in Italia a luglio, tappa di un tour mondiale. Per i suoi brani si parla di 15 miliardi di ascolti, di più di 3 miliardi di visualizzazioni per il suo canale YouTube. Il suo account di Instagram conta più di 50milioni di follower, principalmente ragazzine appena adolescenti. Il mondo intero pare insomma impazzire per lei, che si veste come se un tornado l’avesse trascinata nel guardaroba di un rugbista daltonico, dichiarando: «Sono molto diversa da tante persone e cerco di esserlo […]. Se qualcuno inizia a indossare qualcosa in un certo modo, indosserò l’esatto contrario di quello». Gucci non tira più come un tempo, si vede, visto che ne era ricoperta alla serata dei Grammy, unghie comprese. Ma questo è peccato veniale.
La vera domanda è: cosa canta per avere tutto il mondo ai propri piedi? Vogue ne esalta l’«estetica priva di sessualizzazione» e i testi «emotivamente intelligenti», arrivando a definirla «una voce della ragione piena di umanità per i giovani fan che la seguono».
«Dove andiamo a finire
quando ci addormentiamo?»
Il suo modo di fare musica è sicuramente rivoluzionario e fuori dagli schemi, per questo non stupisce il successo planetario tra giovani e giovanissimi. Il titolo del disco, When We Fall Asleep, Where Do We Go?, «Dove andiamo a finire quando ci addormentiamo?», è intrigante. Lo sviluppo della risposta, declinata nei vari brani, apre molti più interrogativi di quanti non ne risolva. Per esempio Bad Guy, «Brutto tipo»:
«Lividi su entrambe le mie ginocchia per te/ […] Mi piace quando prendi il controllo/ […] Possiedimi, ti lascerò giocare il ruolo,/ sarò il tuo animale».
Sfuggono l’intelligenza emotiva e l’umanità di cui parla Vogue. In All The Good Girls Go To Hell,
«Tutte le brave ragazze vanno all’inferno», canta: «Tutte le brave ragazze vanno all’inferno/ perché anche Dio ha dei nemici/ […] Il mio Lucifero si sente solo/ […] Lo sai che non sono tua amica senza dei verdoni./ Cammino indossando catene/ […] Non c’è niente più da salvare ora»
Confessando un certo disagio ogni volta che vien tirato in ballo il demonio – sempre tema delicato da toccare, specie tra ragazzini – in questo caso il video preoccupa parecchio: la giovane, trafitta da innumerevoli aghi, si trasforma nell’angelo dannato. Dopo la raccapricciante estrusione di ali demoniache, piomba in una pozza di pece da cui riemerge per trascinarsi scompostamente, con gli occhi completamente neri. Al demonio rimanda pure la copertina dell’album: gli occhi stavolta bianchi e una smorfia satanica riecheggiano proprio la possessione demoniaca.
Il video di Bury a Friend , «Seppellisci un amico», è l’apoteosi: occhi completamente neri, movenze distorte, anonime mani guantate di nero che la muovono come fosse un burattino. Di nuovo trafitta da decine di aghi levita infine in mezzo alla stanza. Di questo video si trovano interpretazioni altamente inquietanti. Il testo recita:
«Cammina sui vetri, strisciaci la lingua / Seppellisci un amico, prova a svegliarti/ Classe di cannibali, che uccidono il figlio/ Seppellisci un amico, voglio farla finita/ Voglio farla finita/ […] Quando ci addormentiamo, dove andiamo?».
In tutto ciò, tocca ammetterlo, le canzoni risultano piacevoli, la sua voce quasi garbata. Una indicibile tristezza pervade, coinvolge, emoziona. Chi ascolta non lo fa per amore di trasgressione, niente a che vedere con i fan del “reverendo” Manson. In questo guazzabuglio di contraddizioni, cosa rende Billie Eilish tanto amata?
Lacrime amare, e i “grandi” applaudono
Nel video di When The Party’s Over, «Quando la festa è finita», pare di poter intuire una risposta. Billie, vestita tutta di bianco, in una bianca stanza “asettica”, siede incatenata davanti a una colonna bianca che regge un bicchiere di liquido nero. Canta, e beve in un misto tra rassegnazione e indifferenza l’intera mistura. Poi piange lacrime nere, che le impiastricciano la faccia, i vestiti, fino a colare sul pavimento. Tutto è sporco, contaminato in modo indelebile. Si può azzardare una interpretazione. Quanti giovani si sentono ugualmente costretti a ingollare una “medicina amara”? Quanto si identificano in questa coetanea, mentre lei sbatte in faccia i demoni che ne affollano i sogni, ma senza scomporsi, quasi con freddezza? Billie sta gridando l’immenso disagio della solitudine, dell’inadeguatezza, fin quasi al compiacimento che, sì, siamo cattivi, andiamo all’inferno, ma sbadigliando, perché niente ci fa più sobbalzare: è rimasto solo il dolore.
Non si tratta di scandalizzarsi: non ha senso tentare di eliminare il senso del male e nemmeno forse la sua espressione così terribilmente evocativa, anche se fa paura. Il vero problema, che dovrebbe destare più di una preoccupazione, è la reazione del mondo “adulto”, che di fronte a tutto ciò pare gridare: «Brava, ci piaci! Siamo “moderni”, in fondo siamo ancora “giovani anche noi”». Come se gli adulti avessero qualcosa da imparare, invece che risposte da proporre. O braccia che abbracciano, invece di ferire. Non tremano i polsi di fronte all’evidenza del fallimento, a una generazione di adulti che non ha saputo dare un senso ai propri figli, una speranza, una bellezza. Molto più semplice farsi compagni di strada, senza rispondere alle richieste di aiuto (più esplicite di così). Molto più semplice far debuttare Billie nella moda bambino, mettendo insieme così definitivamente tutte le generazioni, in un tripudio di banalità snobistica. Tra l’altro gli abiti, allegri e colorati, sono prodotti con fibre naturali ed ecosostenibili, e, ovviamente, con il tocco definitivo: la collezione è genderless, come già per Bershka e H&M.
Dove andiamo a finire, quando ci addormentiamo? Servono adulti, veri, capaci di indicare prati infiniti, sotto cieli sconfinati. Proprio quel che Billie ci sta dicendo di desiderare.