Last updated on Luglio 24th, 2021 at 11:30 am
Un’unica vicenda, tante narrazioni. Non è affatto una novità che, nella Penisola, molte scuole portino avanti laboratori finalizzati, di facciata, a promuovere l’inclusività e a deplorare il bullismo, mentre nella sostanza indottrinano i minori all’ideologia gender fluid. La gestione mediatica del caso della scuola elementare e media Guglielmo Marconi di Firenze è però da manuale.
I media di Sinistra, bontà loro, hanno puntato subito i riflettori sulla «maestra minacciata sui social per il laboratorio contro gli stereotipi di genere», lasciando intendere un vero e proprio linciaggio collettivo da parte dei soliti hater. Lo stesso schema si ripete tra le parti politiche: la maggioranza di Centrosinistra in Comune difende l’insegnante e l’associazione IREOS onlus che gestisce il progetto, il Centrodestra sostiene la libertà di educativa dei genitori non informati sull’iniziativa didattica.
Come spesso succede, si parte da modelli culturali indirizzati all’infanzia, consolidati da decenni o da secoli, che vengono riattualizzati in base ai dettami dell’ideologia arcobaleno. Nel caso fiorentino è stata allestita la recita di una fiaba celeberrima in cui la parte di Cappuccetto Rosso viene impersonata da un bambino, quella del lupo da una bambina, e così via. In una quarta elementare dello stesso istituto, nella lettura di un dialogo durante l’ora d’inglese, un alunno impersona Lilly e un’alunna Arthur. Lo scopo apparente è sempre lo stesso: educare i bambini a mettersi nei panni dell’altro sesso per sconfiggere lo spauracchio dei cosiddetti «stereotipi di genere».
Giusy D’Amico, presidente dell’associazione Non si tocca la famiglia, ha seguito la vicenda in prima persona. A sollevare la questione è stata una sola mamma in tutta la classe, esercitando il proprio sacrosanto diritto al consenso informato. «Questa mamma», spiega la d’Amico, «ha domandato ai dirigenti scolastici come mai, quando vengono affrontate tematiche così sensibili, i genitori non vengano mai messi al corrente in maniera sufficiente. Qualcuno dirà che è tutta nell’educazione civica, che ormai è obbligatoria: è vero ma non stiamo parlando di ecosostenibilità o di politiche di accoglienza. Sono temi delicati che attengono a una sfera sensibile come quella dell’affettività o della sessualità che non dovrebbero competere alla scuola o, quantomeno, le competono solo nella misura in cui il genitore condivide il percorso educativo proposto». Affrontare temi come la lotta al bullismo o la prevenzione della violenza è qualcosa che «troverebbe d’accordo qualunque genitore». Il problema è «con chi si affronta questo argomento, con quali strumenti didattici, con quali esperti, cosa verrà detto: spesso tutto questo non viene specificato».
Ecco allora il paradosso: il genitore che esercita un proprio diritto viene ghettizzato e insultato da chi non la pensa come lui e alla fine i carnefici passano per vittime, spalleggiati da giornali di Sinistra che si affrettano a difendere le istituzioni, ma non la legge.
«Bisogna specificare, piuttosto, che spesso la discriminazione è al contrario», sottolinea il presidente di Non si tocca la famiglia. «Se anche una sola mamma si oppone a un percorso didattico, questa va difesa. In realtà, spesso, le mamme che dissentono sono più di una, ma hanno il timore di reazioni anche esterne all’ambito della scuola; temono persino un atteggiamento di ritorsione nei confronti dei figli. C’è un clima di omertà che andrebbe denunciato: situazioni in cui le persone non si sentono libere di esprimersi per non andare incontro a gogne mediatiche».
Alla luce di quanto successo nella scuola fiorentina l’associazione Non si tocca la famiglia scriverà alla dirigente scolastica, richiamando la necessità di chiarire i contenuti del patto educativo. «La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 26», spiega la D’Amico, «afferma che i genitori hanno la priorità nella scelta educativa per i figli» e nella Costituzione italiana è scritto che «i genitori hanno il diritto e il dovere di istruire i propri figli». Per questo il «ddl Zan» approvato alla Camera «è anticostituzionale». Se diventasse legge dello Stato, andrebbe infatti in fumo il consenso informato entrato in vigore a fine 2018 con nota del ministero dell’Istruzione. Se accadesse, «le famiglie dovrebbero rassegnarsi a subire quello che purtroppo accade in altri Paesi come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, dove non è più possibile appellarsi alla libertà di scelta educativa. Stiamo rischiando seriamente un passaggio epocale che farà carta straccia di uno strumento che è costato anni di battaglie e che due anni fa ha visto finalmente un riconoscimento formale e ufficiale».