Il sogno degli «Universitari per la Vita»

In Italia l’antiabortismo più intransigente è tra gli studenti

Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:27 am

Non tutti i mali vengono per nuocere. Un anno e mezzo fa gli «Universitari per la Vita» subirono un’improvvisa aggressione a La Sapienza per mano di un gruppo di femministe esaltate. L’episodio fu così clamoroso che il nome di quel gruppo iniziò a circolare per l’ateneo romano. Al punto che, poco tempo dopo, un docente volle coinvolgerli nella realizzazione di un libro a più mani.

Una difesa della vita senza compromessi. Per minare l’ideologia pro morte alle fondamenta è il frutto di quell’idea, particolarmente originale per diverse ragioni: per la realizzazione affidata a un team trasversale tra professori, ricercatori, esperti e studenti; per la natura divulgativa; e per il taglio radicale. Curato da Chiara Chiessi, Fabio Fuiano e Florio Scifo, il volume è prefato del pedagogista Furio Pesci e raccoglie saggi di alcuni tra i più rinomati difensori del diritto alla vita italiani, dal magistrato Giacomo Rocchi al neonatologo Giuseppe Noia.

Formatisi nel maggio 2016, in occasione della VI Marcia per la Vita italiana, gli «Universitari per la Vita» nutrono un’ambizione non da poco: realizzare una rete non politicizzata di giovani pro life, sulla scorta del modello statunitense. Con quali strumenti? Dibattiti informali per i viali delle università, articoli sul loro sito, cineforum, webinar e questo libro nuovo di zecca.

Alla guida del movimento c’è Fuiano, recentemente succeduto alla fondatrice, Chiessi, entrata in un istituto religioso. 26 anni, laureato in Bioingegneria nell’Università di Roma Tre, Fuiano è dottorando in Ingegneria meccanica industriale con indirizzo biomedico. «Il mio ambito di ricerca ha molto a che fare con gli ultrasuoni e l’ecografia, strumenti che vengono utilizzati nell’ostetricia e nella ginecologia», spiega ad “iFamNews”. Un capitolo curato da Fuiano nel libro si intitola La ventilazione polmonare e illustra con chiarezza come le macchine dedicate servano da sostegno vitale per i pazienti, ma non somministrino alcuna terapia, motivo per cui è errato e fuorviante parlare di «accanimento terapeutico».

Fuiano, siete attivi da cinque anni: dove avete incontrato più apertura e dove, invece, più ostilità?

L’ostilità si incontra a tutti i livelli. Qualche anno fa cercammo un contatto con l’allora ministro dell’Istruzione, ma non abbiamo avuto riscontri, perché, purtroppo, questo tipo di tematiche, affrontate secondo la verità detta tutta intera, sono scomode. Finanche un politico che voglia aiutare un’organizzazione come la nostra finisce per non farlo, perché ciò lo metterebbe in una posizione impopolare, che non gioverebbe al suo ruolo istituzionale. È un difetto dell’assetto politico italiano attuale, che si fonda su una maggioranza di persone che, su queste cose, la pensa esattamente all’opposto di noi. Quindi i problemi ci sono a tutti i livelli, dalla politica agli studenti. All’università abbiamo sperimentato l’ostilità delle femministe di «Non una di meno», che, nell’ottobre di due anni fa, alla facoltà di Lettere de La Sapienza, assaltarono un nostro banchetto, strappandoci i volantini e buttando per aria il rinfresco che offrivamo a chi vi si fermava noi. Un episodio abbastanza antipatico…

Trasformatosi però in grande occasione…

È vero. La notizia dell’aggressione si sparse in breve tempo. Venne a saperlo, tra gli altri, il professor Furio Pesci, docente di Storia della pedagogia, che ci volle conoscere. Ci disse che, nell’università, un volantinaggio contro l’aborto non si vedeva dagli anni 1970-1980. Ha voluto quindi aiutarci e, da questa collaborazione, è nato il libro che offre argomentazioni valide su tutti i fronti per pro lifer senza compromessi e un orientamento ben preciso su tutte le problematiche della vita, a partire da aborto, contraccezione ed eutanasia.

In Italia il dibattito si è riacceso dopo le linee-guida del ministro Roberto Speranza sulla Ru486. Voi che dite?

È una questione che andrebbe affrontata in modo certosino e puntuale. Non si può parlare di aborto chimico evitando di parlare della radice profonda di qualunque aborto, ovvero la negazione esplicita dell’umanità del concepito a livello giuridico, morale e sociale. È importante, quindi, parlare degli effetti collaterali dell’uso della Ru486, ma non basta. Gli effetti collaterali sono presenti in qualunque farmaco, pertanto l’abortista di turno potrà sempre dire che anche assumendo l’aspirina o l’antidolorifico si possono correre questi rischi. La differenza è che, con la Ru486, si parla di effetti collaterali che una donna perfettamente sana è disposta a rischiare con l’obiettivo di uccidere il proprio figlio. A questo proposito stiamo realizzando una serie di video in cui spieghiamo perché l’aborto è di per sé malvagio, indipendentemente dal contesto in cui il medico o la donna si trovano ad agire.

Una vostra attività peculiare sono i cineforum: come si svolgono?

Lo scopo di questi cineforum è sensibilizzare le persone su questo genere di argomenti attraverso la cinematografia. Parliamo di film che non vengono trasmessi nelle reti nazionali e di temi che non vengono trattati nelle serie tv, le quali, al contrario, propagandano l’aborto come se fosse la cosa più normale del mondo, banalizzandolo e normalizzandolo. Il primo film che abbiamo proiettato è stato Gattaca. La porta dell’universo, pellicola degli anni 1990 che tratta dell’eugenetica e che si ricollega all’aborto, ma, soprattutto, alla tematica dell’inseminazione artificiale. Poi abbiamo proiettato Unplanned, sulla storia di Abby Johnson, passata da Planned Parenthood all’attivismo pro life. Sull’«utero in affitto» abbiamo proiettato Il figlio sospeso di Egidio Termine, che ha partecipato al dibattito. Ieri abbiamo proiettato Il mondo di Jonas: The Giver sull’eugenetica e a sfondo distopico. Facciamo circa due cineforum al mese. Sono nati dibattiti molto interessanti dopo il film. Questo tipo di attività è molto utile. A livello psicologico, il film agisce in maniera diversa rispetto alla parola scritta. Quando un film veicola dei messaggi, buoni o cattivi che siano, li trasmette allo spettatore, quasi senza che questi se ne accorga.

Il 29 gennaio si svolge a Washington la 48a Marcia per vita. Voi siete nati in occasione della VI Marcia per la Vita italiana: che ispirazione traete dal grande evento pro life americano? L’anno scorso io e Chiara Chiessi siamo stati alla Marcia di Washington. Un’esperienza unica. È stato impressionante vedere quali siano i risultati di chi si impegna per la vita senza compromessi: hanno iniziato in 200 nel 1974 e l’anno scorso sono arrivati a 700mila. Ci sono tantissimi giovani. Ci auguriamo che si possano raggiungere risultati così anche in Italia. Per farlo, bisogna però rimboccarsi le maniche, scendere in piazza e manifestare pubblicamente affiché anche la politica possa vedere che un popolo della vita esiste e non è disposto ad accettare un solo innocente sacrificato in più.

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