Il neocolonialismo di morte dell’aborto

Il Benin liberalizza l’aborto in maniera aberrante. Tanto è abitato per lo più da negri e chissenefrega dei negri

bambino africano

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Last updated on Dicembre 1st, 2021 at 04:39 am

Il 20 ottobre il Benin ha reso l’aborto più facilmente accessibile. E chissenefrega del Benin? Il Benin è uno Stato dell’Africa non certo fra i più grandi e più noti. È abitato per lo più da negri e chissenefrega dei negri? Possono tranquillamente ingrossare la macelleria umana, essere spazzati dalla Terra ancora prima di nascere, essere massacrati, maciullati e ridotti in poltiglia. Uno in più o migliaia in meno, chissenefrega. Nessuno sa piazzare a bruciapelo il Benin su una cartina muta, nessuno sa chi ci viva dentro quel Benin, nessuno sa cosa sia il Benin, chissenefrega di un po’ di africani in meno; anzi, meglio così.

Il 20 ottobre il Benin ha emendato la legge varata nel 2003 con il consueto nome falso e ipocrita di Legge sulla salute e sulla riproduzione sessuali allargandone le maglie a dismisura. Adesso in Benin l’aborto è possibile fino alle 12 settimane di vita del bambino che cresce nel seno della propria mamma ed è possibile richiederlo «quando la gravidanza può rendere difficile o causare situazioni di sofferenza materiale, educativa, professionale e morale incompatibili con gli interessi della donna e/o del bambino non ancora nato». Cioè sempre, basta volerlo.

Il linguaggio dell’emendamento è così surreale e assurdo da consentire l’uccisione di una vita ancora nel grembo della propria mamma per qualunque ghiribizzo della mente umana: «rendere difficile o causare situazioni di sofferenza materiale, educativa, professionale e morale incompatibili con gli interessi della donna e/o del bambino non ancora nato». È letteralmente pazzesco. E assurdo. E raccapricciante.

Che cosa abbiamo mai fatto di questo mondo? Abbiamo reso possibile ammazzare un essere umano indifeso e innocente se qualcuno, la sua mamma o altri, decidano che una cosa qualsiasi turbi la situazione «materiale, educativa, professionale e morale» rendendola incompatibile «con gli interessi della donna e/o del bambino non ancora nato».

Ma sappiamo cosa sia la vita? Lo sappiamo davvero, sul serio, profondamente? Sappiamo cosa sia la morte? Lo sappiamo davvero, sul serio, profondamente?

Come si fa a continuare la vita di ogni giorno, levarsi, lavarsi, vestirsi e uscire di casa per le solite quattro cose, sapendo che si può ammazzare un bambino nel ventre della propria mamma se dare la possibilità a quel piccolino di essere se stesso, vivendo una vita piena e intera, «può rendere difficile o causare situazioni di sofferenza materiale, educativa, professionale e morale incompatibili con gli interessi della donna e/o del bambino non ancora nato»? Ma quali mostri siamo diventati?

Mostri di egoismo, di brutalità, di efferatezza. Chi siamo noi per decidere della vita di un piccolo? Che violenza inaudita è decidere per lui?

In realtà è possibilissimo perché chissenefrega del Benin, degli africani, dei negri.

L’Africa è ancora uno di quei luoghi dove la resistenza all’aborto e alla contraccezione è forte e benedettamente spavalda. Per questo gli forzi del jet-set dell’aborto si concentrano su quest’ultima roccaforte agendo con facilità. Del Benin, infatti, dell’Africa non importa a nessuno. E così il neocolonialismo di morte dell’aborto può agire indisturbato. Colpa nostra.

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