Il mito sfatato dell’Uruguay felix

Divorzio, aborto, droga: il Paradiso può attendere

Chevrolet azzurra 1960 con targa dell'Uruguay

Image by gerardom from Pixabay

Last updated on Febbraio 25th, 2021 at 12:22 am

Panama e Messico e nuvole, la rivista letteraria Mundo Nuevo (1966-1971), il realismo magico di Gabriel García Márquez (1927-2014), Augusto Roa Bastos (1917-2005): l’immaginario italiano ed europeo della fuga dalla vita e dalle realtà quotidiane si è rivolto spesso all’America del Sud, alla ricerca di una vita diversa, più intensa forse o più rilassata. Agli antipodi, l’Asia e il subcontinente indiano con i suoi ashram e poco oltre Phuket e Bangkok, ma questa è un’altra storia.

Anche il nostro tempo si volge a Ovest e al Sud per sognare una “via di fuga”, se si vuole dar retta in particolare a un articolo apparso sull’inserto domenicale del 14 febbraio scorso del quotidiano La Stampa, che descrive l’Uruguay come uno degli ultimi paradisi. «Un’isola felice nell’America del Sud. Si divorzia dal 1907, l’aborto è legale e la marijuana è libera», recita il post su Facebook che promuove il pezzo. Curiosa definizione di luogo ideale, ma tant’è.

Punto primo, il divorzio e non solo

La prima legge sul divorzio è stata approvata in Uruguay nel 1907, nel 1913 estesa al divorzio per volontà della sola donna, e oggi tale pratica è regolamentata ai sensi dell’art. 186 del Código Civil. Nel 2017, il tasso dei divorzi si è attestato a 0,9 su mille abitanti. L’Uruguay del resto è uno Stato laico, il primo Paese dell’America Latina a stabilire nella propria Costituzione la separazione della Chiesa dallo Stato, nel 1919. Il processo di secolarizzazione era iniziato ancora prima, però, nel 1861, con la sottrazione dei cimiteri alla giurisdizione ecclesiastica e la non obbligatorietà dell’istruzione religiosa nelle scuole.

Tutto ciò pare il frutto dell’influsso dell’illuminismo e della massoneria, secondo Hernan Patiño Mayer, politico cattolico già ambasciatore argentino in Uruguay e all’ONU, che scrive: «A contribuire alla laicizzazione dell’Uruguay sono stati il partito Colorado, affine alle idee dell’illuminismo razionalista europeo che erano rappresentate dai commercianti montevideani, da un’importante colonia anglo-francese e dalle forze garibaldine presenti nel Paese. All’azione di questo ampio fronte si aggiunse l’attiva e poderosa incidenza della massoneria».

Nel Paese il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso è stato approvato nel 2013, riservato però ai soli cittadini uruguaiani e vietato alle coppie straniere.

L’aborto

In Uruguay, l’aborto è legale dal mese di ottobre del 2012, quando la norma è stata approvata grazie all’appoggio del Frente Amplio (FA, il partito di sinistra in quel momento al governo) e controfirmata dall’allora presidente José Mujica, che pure si era detto personalmente contrario ma che non ha posto il veto alla riforma, come aveva fatto invece nel 2008 il suo predecessore Tabaré Vazquez (1940-2020), primo presidente socialista del Paese.

La legge prevede l’obiezione di coscienza da parte dei medici e del personale sanitario, categorie che però hanno potuto dichiarare la propria volontà solo nei primi 30 giorni dall’entrata in vigore della norma.

L’aborto è permesso entro le 12 settimane di gestazione, termine che comunque non viene applicato nel caso in cui la gravidanza sia il risultato di uno stupro, se ci sono rischi per la salute o la vita della donna, se sussistono «malformazioni fetali gravi, incompatibili con la vita extrauterina».

Il Sistema sanitario nazionale dell’Uruguay, inoltre, prevede che l’interruzione volontaria di gravidanza entro il termine avvenga non attraverso un intervento chirurgico, bensì con aborto farmacologico, utilizzando l’ormai ben noto farmaco a base di misoprostolo. La RU 486, insomma.

Per quanto riguarda i numeri, dati ufficiali citati dalla BBC parlano di una media di 10mila aborti all’anno, con mortalità materna estremamente bassa. Proprio un “paradiso”, davvero.

Infine, la cannabis

José Pepe Mujica, ex guerrigliero appartenente al movimento di estrema sinistra dei Tupamaros, presidente uruguaiano dal 2010 al 2015, ha legalizzato le droghe leggere nel 2014. L’Uruguay è stato così il primo Paese iberoamericano a varare una normativa di tale genere, nella speranza di contenere se non eliminare traffici illeciti e narcotrafficanti.

A oggi vi sono tre possibilità per procurarsi la cannabis in modo perfettamente legale: coltivandola a casa propria, fino a un massimo di sei piantine (pare però che i controlli non siano così “stringenti”…). Oppure aprire o affiliarsi a un “cannabis club”, cioè un’associazione con finalità ludiche, che può coltivare sino a 99 piante di marijuana, da vendere poi ai soci (maggiorenni). Infine, si può comprare in farmacia: pacchetti da cinque grammi di marijuana a 180 pesos (5,4 euro), fino a un massimo di 40 grammi al mese. I limiti, però, paiono essere piuttosto labili e il “turismo dello sballo” alimenta mercati nascosti e opachi.

In tutti i casi, il giro di illeciti che ruota attorno alla produzione e allo smercio di sostanze psicotrope non pare essere stato del tutto debellato, nel continente che resta il maggior produttore al mondo di stupefacenti.

Un Paradiso?

Chissà perché, l’idea di Paradiso che ci si era fatti era un poco diversa: Montevideo, con la città vecchia, il teatro Soler e il lungomare del Pocitos al tramonto, Punta del Este e le sue spiagge, il tango e il candombe… La vita, non la morte: che ingenuità.

Exit mobile version