Last updated on Maggio 26th, 2020 at 04:01 am
Il 18 maggio il giudice italo-islandese Robert Spano ha assunto la carica di presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e lo stesso giorno l’Associazione degli avvocati scandinavi per i diritti umani ha chiesto di rivedere l’ammissibilità della causa delle ostetriche svedesi a proposito del tentativo di mettere fuorilegge l’obiezione di coscienza nei casi di aborto, decisa il 12 marzo, che per estensione potrebbe venire applicata all’intera professione medica in tutta Europa. Nelle sentenze sui casi Grimmark v. Svezia e Steen v. Sweden con cui estromettevano l’obiezione di coscienza, i giudici della CEDU hanno anche dichiarato che l’aborto è un normale atto medico e che l’accesso generale all’interruzione volontaria di gravidanza ha la precedenza sul rispetto della libertà personale di coscienza, peraltro con decisioni colme di anomalie gravi.
Ora, il 25 febbraio, lo European Centre for Law & Justice (ECLJ) di Strasburgo ha pubblicato l’esplosivo rapporto Les ONG et les juges de la CEDH, 2009-2019 (disponibile anche in lingua inglese e in lingua spagnola) di cui “iFamNews” ha dato conto, anche a fronte di una successiva singolare “riposta” da parte della Corte europea dei diritti umani (CEDU). Nel rapporto si descrivono conflitti di interesse e opacità impressionanti, oltre a una chiara connivenza tra molti giudici della CEDU e diverse organizzazioni finanziate o sostenute dal magnate George Soros, che nel mondo propaganda e finanzia la mentalità abortista e la cultura transgender. Proprio su quell’insieme di opacità, conflitti di interesse e possibili manipolazioni di giudizi diversi è recentemente intervenuta la Russia per denunciare una situazione grave.
La longa manus del più importante abortificio mondiale
Ebbene, nelle ultime settimane sono emersi legami tra il giudice svedese della CEDU Erik O. Wennerström e il maggior abortificio del mondo, la Planned Parenthood (PP). Wennerström pare infatti avere connessioni molto forti sia con le parti in giudizio che si opponevano al riconoscimento dell’obiezione di coscienza delle ostetriche sia con l’organizzazione Riksförbundet för Sexuell Upplysning (RFSU, Associazione svedese per l’educazione sessuale), una realtà pro-aborto che è stata uno degli enti fondatori dell’International Planned Parenthood Federation (IPPF) e che ne rimane uno dei membri, oltre a ricevere finanziamenti da organizzazioni internazionali note per il sostegno attivo che danno all’aborto nel mondo, quali lo Styrelsen för internationellt utvecklingssamarbete (l’Agenzia svedese per lo sviluppo e la cooperazione internazionali), che sponsorizza l’aborto in Africa, e il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, che lo promuove ovunque. Per chiarezza, l’IPPF è l’estensione a livello mondiale della PP statunitense, che negli ultimi anni ha ricevuto ben 20 milioni di dollari da Open Society Foundations, ovvero il network di Soros. Dal resoconto finanziario dell’IPPF per il 2018 si apprende tra l’altro di un importante incremento delle donazioni ricevute dai Paesi scandinavi, tra i quali la Svezia figura con 4.8 milioni di dollari.
Potere pubblico e denaro
Sono dunque queste evidenze consolidate che hanno spinto l’Associazione degli avvocati scandinavi per i diritti umani a ricorrere contro la decisione della CEDU che ha penalizzato le due ostetriche svedesi. Il pool di legali evidenzia peraltro tre punti salienti. «In primo luogo», scrivono, «riteniamo sbagliato assegnare a un comitato di tre giudici la decisione sull’ammissibilità dei casi delle ostetriche riguardanti la libertà di coscienza in ambito sanitario. La Convenzione europea afferma infatti che tali “comitati” debbano essere designati solo in casi semplici in cui esiste una giurisprudenza consolidata, cosa che invece non era in quei due casi. Il secondo motivo della richiesta di revisione è che il giudice svedese Wennerström, uno dei tre giudici del suddetto “comitato”, avrebbe dovuto astenersi per conflitto di interesse, cosa che invece non ha fatto». Del resto «la composizione del “comitato” non è stata resa nota prima che la sentenza venisse pronunciata e dunque le parti non hanno avuto la possibilità di sollevare obiezioni prima del giudizio. Prima del 2018 il giudice Wennerström era stato direttore generale del Consiglio svedese per la prevenzione della criminalità. Nella sua relazione annuale per il 2017 afferma che i Consigli comunali e regionali svedesi, cioè gli avversari delle ostetriche svedesi, erano parte dei poteri pubblici e che il potere pubblico, in quell’anno, ha sovvenzionato Consigli comunali e regionali». In più, nel 2018 Wenneström era membro del Comitato dei supervisori dell’Authority svedese per l’eguaglianza e amministratore delegato appunto dei Consigli comunali e regionali svedesi. All’epoca, proseguono i legali scandinavi, «Åsa Regnér era ministro per l’Uguaglianza di genere e si era opposta energicamente e apertamente al diritto alla libertà di coscienza. La Regnér aveva peraltro in precedenza presieduto la RFSU […], che pure aveva ricevuto sovvenzioni dall’Authority per l’uguaglianza nel 2018».
Errori nella sentenza
Ma c’è ancora di più. Nel curriculum vitae di Wennerström si legge che per circa 30 anni ha lavorato per il governo svedese, non escluso il ministero degli Esteri. Nel caso in esame questo dato è eccezionalmente problematico, giacché proprio molti ministri svedesi hanno preso posizione netta, in tutti i gradi di giudizio, contro ogni riconoscimento dell’obiezione di coscienza di ostetriche e infermiere in caso di aborto. Terza e ultima motivazione del ricorso dei legali scandinavi sono i numerosi errori fattuali contenuti nella sentenza di marzo, sia in sede di ricostruzione dei fatti sia per quanto attiene alle valutazioni giuridiche. Per esempio in Europa esiste un ampio consenso sulla libertà di coscienza per gli operatori sanitari e diverse risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa lo confermano, ma la sentenza non prende minimamente in considerazione il punto. Secondo la dottrina del “margine di apprezzamento”, gli Stati-membri hanno un margine di discrezionalità molto limitato per deviare dal consenso europeo stabilito nei casi in cui esiste uno “standard europeo” di valutazione comune. Nel caso del diritto umano all’obiezione di coscienza, dal 1967 al 2010 le Risoluzioni e Raccomandazioni del Consiglio di Europa sono univoche: l’obiezione e il diritto alla libertà di coscienza sono diritti umani inalienabili.