Il futuro che ci attende

Negli Stati Uniti la difesa dei princìpi non negoziabili si chiama «Social Conservatism». Oggi è una forza capace di trainare il mondo

Last updated on Ottobre 13th, 2022 at 03:09 am

Inizio da una definizione: quello che negli Stati Uniti d’America viene chiamato «Social Conservatism» è l’insieme di orientamenti ideali e politici che afferma e difende la famiglia naturale intesa come l’unione coniugale in una sola carne di un uomo e di una donna allo scopo di generare e di crescere figli, di metter su case solide e di legare le generazioni l’una all’altra. Fondato sulle Sacre Scritture, il «Social Conservatism» promuove la sessualità ordinata (la castità prima del matrimonio e la fedeltà dopo), il matrimonio in età relativamente giovane, la complementarietà di ruoli fra i sessi (gli uomini padri, procacciatori e protettori, le donne madri e nutrici) e la famiglia numerosa. Quindi disdegna la contraccezione, condanna l’aborto, aborre la pornografia e deplora l’adulterio. E siccome sono il fondamento più certo della libertà ordinata e della prosperità umana, per il «Social Conservatism» è dovere anche delle leggi e dell’azione di governo promuovere questi princìpi.

Nonostante un passato di luci e ombre, e nonostante la personalità ruvida, da presidente Donald J. Trump ha sorpreso per quanto e come ha saputo sostenere molte di queste idee. Ha per esempio favorito una politica fiscale in grado di aumentare le detrazioni d’imposta per le famiglie con figli a carico, ha più volte cercato di negare fondi alle attività filo-abortive della Planned Parenthood, ha messo gli Stati Uniti alla testa delle politiche pro-life che si è cercato di promuovere in seno alle Nazioni Unite e ha nominato giudici federali favorevoli a molti o alla maggior parte dei princìpi propri al «Social Conservatism».

Un Joe Biden presidente cancellerà invece tutto questo prima e quanto più possibile. Le norme e gli ordini esecutivi firmati da Trump spariranno, molti fin dal primo giorno. Un Biden presidente nominerà nel governo figure contrarie a qualsiasi aspetto del  «Social Conservatism» e lo stesso farà per quanto riguarda le nomine dei giudici. Se non altro a livello politico la disfatta sarà totale. Se resterà ancora sotto il controllo del Partito Repubblicano il Senato federale metterà un freno agli atti legislativi cattivi, ma questo significherà solamente perdere in sede parlamentare con un po’ più di lentezza.

Che fare, dunque, per chi si riconosce nel «Social Conservatism»? Vale la pena di analizzare brevemente quanto di rilevante è accaduto in passato negli Stati Uniti d’America per comprendere come si sia arrivati a questo punto.

Una storia gloriosa

Gli Stati Uniti sono un Paese concepito e nato nel «Social Conservatism». È stata la famiglia, non l’individualismo, la forza che ha dato forma a esso. L’arrivo dei Padri pellegrini e dei puritani all’inizio del secolo XVI diede origine a un modello familiare distintamente americano in cui praticamente tutti si sposavano e lo facevano in età giovanile, i figli erano numerosi, i genitori erano il fulcro, vigeva la complementarità fra i sessi (pari valore e dignità tra uomini e donne, ma con funzioni diverse), fra le generazioni vi erano legami fluidi ma autentici, si mirava a un’economia domestica forte e si operava per una relativa stabilità. Nella Nuova Inghilterra, attorno al 1660, quasi tutti i cittadini adulti erano sposati: le donne all’età di 20 anni, gli uomini a 24. Nasceva una media di nove figli per coppia, la gran parte dei quali sopravviveva sino all’età adulta.

Nel 1776 il Paese presentava ancora le medesime caratteristiche. Il matrimonio era diffuso quasi ovunque. Anzi, un’indagine svolta nella regione collinare della Carolina del Sud ha verificato che, su 17mila bianchi adulti, non vi fosse alcuna donna che all’età di 25 anni non fosse moglie o vedova. Il primo censimento condotto degli Stati Uniti, ne1790, ha riscontrato che l’età media degli abitanti era di 15 anni: un Paese di adolescenti, insomma. Al contempo lo spirito religioso e l’economia della vita rurale «[…] facevano sì che i figli fossero considerati una benedizione, non una disgrazia», afferma lo storico Jim Potter. Più della metà dei bambini statunitensi viveva in famiglie che contavano nove o più figli. E le stesse caratteristiche sono state sorprendentemente riscontrate fra gli schiavi neri nella Chesapeake Valley, dove il matrimonio e le famiglie numerose erano diventati pratiche comuni.

Il modello familiare statunitense si è rinvigorito a metà del secolo XIX. Visitando gli Stati Uniti negli anni 1830, il viaggiatore e scrittore tedesco Francis J. Grund s’imbatté in una terra caratterizzata da «matrimoni contratti in età giovanile», «sacralità dei voti nuziali», «crescita rapida della popolazione» grazie agli alti indici della fertilità e «felicità domestica». Un viaggiatore più noto al pubblico, il francese Alexis de Tocqueville, riscontrò le medesime caratteristiche e riferì che «[…] certamente non esiste Paese al mondo in cui il vincolo matrimoniale sia più rispettato che negli Stati Uniti o in cui la felicità coniugale sia più nobilmente o sinceramente apprezzata».

Il Diritto statunitense riflette e al tempo stesso rafforza questo impegno straordinario a favore della vita familiare. Come dimostra lo storico del Diritto Charles Reid, gli insegnamenti in campo sociale dei primi Padri della Chiesa cristiana hanno plasmato questa giurisprudenza, specialmente per quanto riguarda l’idea, elaborata da sant’Agostino, dei tre “beni” del matrimonio: la procreazione, la fedeltà e l’indissolubilità. Come ha spiegato negli anni 1830 l’influente giurista newyorchese James Kent, «la relazione familiare principale e più importante è quella fra marito e moglie. Essa trova il proprio fondamento nella natura ed è l’unica grazie alla quale la Provvidenza ha consentito la perpetuazione della razza umana».

La cosa pubblica veniva gestita di conseguenza. Facendo eco ai progressi ottenuti nel campo dell’embriologia, negli anni fra il 1860 e il 1880 si è assistito all’adozione, in ciascuno Stato dell’Unione nordamericana, di legislazioni che vietassero l’aborto in qualsiasi fase della gravidanza. Nel 1873 il governo federale approvò una nuova legge che prevedeva il divieto di vendita e di distribuzione sia dei contraccettivi sia della pornografia. La maggior parte degli Stati implementò poi misure anche più restrittive. L’applicazione di queste leggi fu rigorosa e straordinariamente efficace tanto che l’industria del porno (fotografie, cartoline “da Cuba”, riviste e libri) venne schiacciata.

La crisi

Eppure, solo pochi anni più tardi, è iniziata la de-costruzione. Perché? Alla base si diffuse la faciloneria. I beni e i meriti prodotti da un sistema familiare forte vennero cioè dati sempre più per scontati. Nel frattempo si diffuse una forma corrosiva di progressismo liberale, a cominciare dalle persone “istruite”. Invece dei doveri, della saggezza ereditata dal passato e delle verità bibliche, si cominciò a ricercare la “libertà personale” e la “scelta”.

Iniziò tutto con la legislazione sul divorzio. Le normative in vigore rendevano difficile e insolita la fine di un matrimonio; anzi, fino a tempi recenti, nella maggior parte degli Stati dell’Unione era necessario un atto legislativo speciale. Tuttavia, a partire all’incirca dal 1880, Arkansas, Nevada e parecchi altri Stati scoprirono che l’offerta del divorzio facile poteva efficacemente tradursi in aumento delle entrate. Gli effetti a cascata sull’ordine sociale e sui figli furono ignorati. I bersagli successivi sono state le leggi che proibivano il controllo delle nascite. L’applicazione delle leggi che nei vari Stati impedivano quelle pratiche ha iniziato a venire meno negli anni 1920. Nel decennio seguente fu una sentenza di tribunale a tagliare le gambe alla normativa federale.

Stava però accadendo qualcos’altro d’importante: il modello della famiglia statunitense stava riprendendo forza grazie al marriage-boom e al baby-boom. Fra il 1932 e il 1970 la percentuale di matrimoni quasi raddoppiò; nel 1970 il 95% dei cittadini statunitensi adulti era ancora o era stato sposato. L’età media per il primo matrimonio raggiunse livelli da record verso il basso: 22 anni per gli uomini, 20 per le donne. L’indice di fertilità prese il volo, arrivando quasi a raddoppiare. Ancora una volta le famiglie numerose diventarono la consuetudine. Infine, dopo un’impennata dopo la Seconda guerra mondiale, anche il tasso dei divorzi diminuì. Come nei secoli precedenti, la famiglia era tornata a essere «the American way».

Nuovamente, però, la cosa non è durata. La faciloneria tornò e lo stesso fece un progressismo liberale corrosivo, questa volta connotato dal femminismo, dall’immoralità e dal nichilismo. L’obiettivo di tutte queste forze era la famiglia naturale. I tribunali federali moltiplicarono le sentenze ostili. Negli anni 1960 e 1970 le decisioni di quest’assise hanno spazzato via i tratti distintivi e le funzioni di protezione che competono specificamente alle famiglie fondate sul matrimonio, e questo fu particolarmente vero per la sentenza nel caso Eisenstadt v. Baird, del 1972, che negò l’unità sponsale. L’anno successivo le sentenze emesse al termine dei casi Roe v. Wade e Doe v. Bolton sovvertirono la legislazione antiabortista che vigeva in tutti i cinquanta Stati dell’Unione. Nella sentenza al termine del caso Planned Parenthood v. Danforth, del 1976, i padri hanno perduto ogni voce in capitolo in tema di aborto. Un anno dopo i genitori sono stati privati di qualsiasi forma di controllo sulla distribuzione di contraccettivi ai figli minorenni. Il processo è quindi continuato, con l’accettazione della sodomia (2003), del “matrimonio” omosessuale (2015) e dell’ideologia transgender (2020). E lo stesso modo amorale di ragionare condurrà presto, prevedibilmente, ad ammettere la poligamia e il poliamore.

Ora, il «Social Conservatism» inteso come movimento è nato come reazione a queste aggressioni alla famiglia naturale. L’organizzazione prototipo del movimento fu la National Divorce Reform League, fondata dal reverendo Samuel Dike nel 1881 per combattere l’indebolimento delle leggi sul divorzio. Dopo aver cambiato nome in National League for Protection of the Family nel 1897, è stato questo il primo gruppo organizzato a utilizzare la dizione «famiglia naturale». Negli anni 1970 è emersa poi una più ampia costellazione di organizzazioni pro family, fra cui Focus on the Family, l’American Family Association, il Family Research Council e The Rockford Institute. Se contassimo anche tutti i gruppi “locali” a livello di singoli Stati il numero di queste organizzazioni crescerebbe a diverse decine.

A questo punto si è quindi verificato un importante cambiamento politico. Prima del 1965, o giù di lì, il partito pro family era verosimilmente quello Democratico. Mentre il Partito Repubblicano ha per lungo tempo privilegiato il mondo di Wall Street, i gruppi bancari, le grandi società, il femminismo così come esso di presentava allora, il business agroalimentare e i tipi da country club, i Democratici erano più inclini a schierarsi con l’“l’uomo medio”, le realtà di credito cooperativo, le tute blu, le piccole imprese, le madri a casa, gli “assegni familiari” per i padri, le aziende agricole a conduzione familiare e le associazioni a base etnica. La Chiesa episcopaliana era il Partito Repubblicano in preghiera, mentre i cattolici e gli evangelicali del Sud votavano per i Democratici.

La situazione è cambiata quando il Partito Democratico, attraverso un processo ancora non del tutto chiarito, ha assorbito tutto quanto rappresentava la corruzione progressista e il radicalismo della fine degli anni 1960. Giunti al 1980, i Democratici si erano oramai trasformati nel partito del controllo delle nascite, dell’aborto, della pornografia, della rivoluzione sessuale, delle convivenze senza matrimonio e dell’intellettualismo radicale nei college e nelle università. Non molto tempo dopo irromperanno sulla scena le nuove élite affaristiche non meno nichiliste e l’aggressivo movimento LGBT+. E così, sul piano politico, milioni di cattolici, di evangelicali, di piccoli commercianti di provincia e di abitanti delle zone rurali fedeli al «Social Conservatism» vennero spinti nel deserto. Presto molti di questi esuli trovarono una via all’interno del Partito Repubblicano: vennero chiamati “Reagan Democrat”. Ma è sempre stato un riallineamento travagliato.

Cosa ha dunque ottenuto il «Social Conservatism» nel corso degli ultimi cinquant’anni? Alcune cose. Seppure l’aborto libero resta legale, è stato possibile limitarlo o vietarne il finanziamento pubblico. La politica fiscale a livello federale è più favorevole alle famiglie con figli di quanto non fosse prima, specialmente grazie al nuovo credito d’imposta per i minori e all’eliminazione di alcune penalizzazioni che gravavano sulla famiglia. In particolare, a livello di singoli Stati, l’homeschooling (una forma di rinvigorimento della famiglia molto efficace) ha ottenuto riconoscimento e protezione a livello giuridico. Ciononostante, altre vittorie politiche (per esempio la Proposition 8 che in California ha difeso il matrimonio vero) sono spesso cadute vittime delle sentenze dei tribunali federali, sovente guidati da giudici Repubblicani. Nel complesso, un fallimento.

Il compito

Cosa bisogna fare, allora? Ebbene, quattro cose.

Primo, passare all’offensiva. Da decenni, oramai, gli alfieri del «Social Conservatism» si sono limitati a difendere precedenti giuridici oramai in disfacimento e, più di recente, a  inseguire mere eccezioni di natura religiosa al diffuso radicalismo in tema di sessualità. Si tratta però di una strategia perdente. Per secoli i conservatori negli Stati Uniti hanno lavorato alacremente ed efficacemente per affinché la famiglia naturale e la morale sessuale giudeo-cristiana fossero difese e promosse anche a livello legislativo, ben comprendendo l’universalità di quei princìpi per il bene di tutti e non solo di minoranze esigue. Del resto questo lo comprende bene anche l’attuale Sinistra sessuolatrica, la quale rigetta infatti il concetto progressista liberale di “scelta”, bollandolo come un’assurdità priva di fondamento nel tentativo incessante d’imporre la propria agenda in modo ubiquo. Il «Social Conservatism» deve dunque fare quadrato e puntare alla vittoria.

Secondo, o il «Social Conservatism» prende davvero il controllo del Partito Repubblicano, oppure deve abbandonarlo. Per circa un quarantennio la leadership Repubblicana ha inglobato i “Reagan Democrat” e il resto del mondo pro family, ma per tutto il resto li ha pure relegati nel dimenticatoio, trattandoli da minus habens chiusi nella soffitta del partito. Il primo amore dei Repubblicani restano i super-ricchi, le aziende dai fatturati stratosferici e il mito della sicurezza nazionale benché ultimamente la cricca dei nuovi miliardari, l’universo Big Tech e il mondo dell’intelligence dimostri invece di preferire l’altro partito. Le riforme fiscali promosse dal Partito Repubblicano, per esempio, di norma incentrano il 90% dei tagli in favore dei ricchi e delle 500 imprese che fatturano di più secondo il periodico finanziario Fortune: le famiglie e il vero certo medio ricevono invece soltanto le briciole. Sono i liberatarian, spesso relativisti sul piano etico, a controllare l’agenda normativa del Partito. Eppure certi sondaggi affidabili suggeriscono che oggi l’elettorato Repubblicano sia composto in maggioranza da conservatori. Sfruttando questo dato dovrebbero reclamare la guida del partito e varare a un’agenda davvero pro family e pro life. Se non dovessero spuntarla, dovrebbero allora dare vita a un partito nuovo. Come negli anni 1850, la vita negli Stati Uniti è sempre più polarizzata su due fronti opposti: all’epoca il motivo del contendere era la  schiavitù, oggi sono i princìpi non negoziabili. All’epoca questo permise al “terzo partito”, allora i Repubblicani, di sostituire i Whig in declino come contraltare ai Democratici, che erano favorevoli alla schiavitù. I tempi potrebbero adesso essere nuovamente maturi per un cambiamento analogo.

Terzo, formare quadri intellettuali e politici di gran lunga migliori. Esistono, si diceva, molte organizzazioni pro family, ma la maggior parte di esse sono di natura confessionale oppure lobby con poco spessore intellettuale. Qualche centro di ricerca collegato alle università maggiori svolge un buon lavoro, ma nessuno si espone apertamente nell’arena pubblica. Occorre allora un’altra generazione di think tank indipendenti con una linea nuova che coraggiosamente rigettino il femminismo tanto “hard” quanto “morbido”, affinché sia sul piano culturale sia sul piano giuridico venga riconosciuto il ruolo della famiglia fatto di guida responsabile da parte dei padri e di virtù materne da parte delle donne. Queste nuove realtà dovranno quindi ridisegnare l’economia per favorire la solidità dei matrimoni e la possibilità che le famiglie tornino a essere numerose svolgendo funzioni sociali decisive. Dovranno porre fine alla «de-virilizzazione degli uomini prodotta da un’educazione femminilizzante e dalle concezioni debosciate del corpo , in particolare la pornografia», come afferma David Azerrad. E dovranno riscoprire quel senso di avventura che un tempo era insito nel concetto stesso di mettere su una famiglia secondo il modello cristiano come si legge, per esempio, in Charles Peguy: «C’è un solo avventuriero al mondo […]: è il padre di famiglia. Anche i più disperati degli avventurieri sono nulla al suo confronto. Ogni cosa, nel mondo moderno, persino e forse più di tutto il resto il disprezzo, tutto è organizzato contro questo pazzo, contro questo impudente, contro questo folle audace» (1909).

E, quarto, bisogna creare l’Internazionale del «Social Conservatism». Il World Congress of Families (WCF), il Congresso mondiale delle famiglie, nato nel 1997, è stato il primo passo. Negli anni 1990, mentre la Sinistra sessuolatrica ha cercato di assicurarsi il controllo delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e di altri organismi transnazionali, il WCF ha esercitato una forza uguale e contraria, cercando di creare una coalizione di studiosi, autori, attivisti e uomini politici disposti a difendere la famiglia naturale in tutto il mondo. IL WCF ha sinora svolto 12 plenarie (a Praga, Ginevra, Città del Messico, Varsavia, Amsterdam, Madrid, Sidney, Salt Lake City, Tbilisi, Budapest, Chisinau e Verona) e un’altra quarantina di assemblee regionali (da Mosca a Nairobi a Manila). Sono state occasioni preziose per scambiarsi idee, per lanciare iniziative nuove e per infondersi fiducia e coraggio a vicenda. La Sinistra sessuolatrica ha prodotto una messe enorme di rapporti, articoli e libri livorosi nei confronti del WCF, ma tutto questo non fa altro che testimoniare quanto abbiamo avuto successo. Adesso occorre fare molto di più. Sono indispensabili finanziamenti sostanziali che permettano di opporsi agli ingenti milioni di dollari che l’impero di George Soros versa nelle campagne contro il WCF. Benché i nostri congressi abbiano visto crescere una generazione di giovani talenti, ancora manca una nuova generazione di leader. Dal WCF è sì sorto un coordinamento di parlamentari pro family, ma le truppe di supporto necessarie per garantire la continuità restano ancora insufficienti.

Insomma, il «Social Conservatism» deve smettere di limitarsi alle lamentele per procedere subito a passo spedito. C’è da conquistare nientemeno che il mondo. E la vera esperienza degli Stati Uniti, assieme – io credo – alla Provvidenza, sono dalla nostra parte.

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