Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:07 am
«Mio marito Victor Allen vuole un figlio. In questo momento […] lo vuole ancora di più […], forse perché sta per compiere 55 anni»: le parole di Tiziano Ferro rimbalzano sul web. La coppia vive negli Stati Uniti d’America, un Paese, che, si dice, «offre molte opportunità per chi vuole avere un figlio». Oltre alla maternità surrogata – con i suoi orrori –, è infatti oggi possibile ricorrere al fostering, la possibilità, spiega il cantante, di occuparsi «[…] per un certo tempo di un bimbo, anche senza una vera e propria adozione». La soluzione ideale, parrebbe, per chi abbia «voglia di famiglia» come nel caso del quarantenne italiano e del suo compagno americano.
Fostering, dunque: di che si tratta? Su tabloid e riviste di gossip si trovano le spiegazioni: si tratta dell’affido di bambini che, abbandonati o a fronte di un trauma, vengono accolti da chi permettere loro di avere una casa e una famiglia. Ma un bambino che, nella migliore delle ipotesi, ha subito “solo” il trauma dell’abbandono – o dell’allontanamento forzato dalla famiglia di origine –, e che in realtà spesso è stato pure vittima o spettatore di violenze e di abusi, può essere considerato da una “coppia” – per altro “attempata” e biologicamente sterile, senza alcuna esperienza di genitorialità – la chance per soddisfare la propria «voglia di famiglia»?
I dati disponibili dimostrano quanto negli Stati Uniti il welfare system relativo all’infanzia sia seriamente in crisi: i minori allontanati dalle famiglie possono cioè «subire danni gravi. Alcuni vengono separati dai fratelli. Altri vengono rimbalzati da una casa-famiglia all’altra, in attesa del prossimo sradicamento». Invece di «[…] essere accolti nelle proprie famiglie – o essere adottati in tempi celeri – molti languiranno per anni in case famiglie o istituti per l’affidamento». Le statistiche del 2018 parlano di quasi 690mila bambini che negli Stati Uniti hanno trascorso del tempo in affido, il 6% dei quali per cinque anni o più, mentre la media degli affidi dura circa due anni. Tra l’altro si tratta di bambini non piccolissimi: l’età media è stata calcolata attorno agli 8 anni. Sempre nel 2018, quasi 20mila di questi minori ha raggiunto la maggiore età senza trovare una famiglia che li abbia accolti in modo permanente, una condizione che li pone ad altissimo rischio di esistenze da vagabondi, facili alla disoccupazione e pure alla delinquenza, dunque al carcere.
Appare evidente come la foster care non abbia a che vedere con teneri neonati da avvolgere in copertine color pastello, perfetti da esporre a favor di telecamera, o per farsi selfie su Instagram. L’affido coinvolge principalmente adolescenti o pre-adolescenti, spesso con già alle spalle oltre all’abbandono familiare il fallimento di precedenti esperienze di affidamento. È necessario per loro mantenere – o tentare di mantenere – i rapporti con la famiglia di origine, tramite visite periodiche (spesso da svolgere in “ambienti protetti” alla presenza di operatori sociali), telefonate e veri e propri “rientri” di alcuni giorni presso la casa dei genitori biologici. I tempi e l’agenda di una famiglia affidataria sono determinati da questi appuntamenti, con l’ulteriore necessità spesso della frequenza a una terapia psicologica, logopedica, o comunque del sostegno di uno specialista che sostenga il percorso del bambino nella nuova famiglia, in relazione con la sua storia passata. Il dramma della “doppia appartenenza” – conosciuto anche da quelle Associazioni che promuovono l’affido anche per i single – accompagna la quotidianità di un minore affidato, laddove le “cose vanno bene”. Si può anche verificare il caso in cui il bambino e la famiglia non riescano a sostenere la «sfida della diversità», arrivando all’impossibilità di proseguire il progetto di affido.
«L’affidamento familiare è un intervento temporaneo di aiuto e di sostegno a un minore che proviene da una famiglia che non è in grado di occuparsi in modo sufficiente e completo delle sue necessità»: l’associazione Famiglie per l’Accoglienza descrive così l’esperienza dell’affido, sottolineando che «ciò che può sostenere una famiglia nell’affido è la compagnia di altre famiglie che vivono la stessa esperienza e mantengono viva la coscienza di questa scelta. La compagnia tra famiglie può giungere fino all’aiuto concreto nelle scelte quotidiane, anche le più difficili».
Ben lungi dall’essere una «opportunità per avere un figlio», quando si è deciso di «mettere la testa a posto» ed è venuta «voglia di famiglia», l’affido familiare è «un’accoglienza che educa alla gratuità, all’apertura della vita del minore accolto nella propria casa, fino ad amarne tutta la sua storia, la sua famiglia, la sua diversità. Questa esperienza educa soprattutto al “non possesso”, che è il vero amore di un padre e di una madre». Il “non possesso” è esattamente la chiave di volta perché l’accento si sposti dal desiderio della “coppia” (comunque assortita) di un compimento al rapporto tra gli adulti, al vero valore da difendere e ricercare: il bene del bambino.