Last updated on Gennaio 12th, 2022 at 02:50 pm
Dapprima sommessamente, in modo nascosto e strisciante, poi sempre più sfrontatamente la propaganda a favore dell’eutanasia si è affacciata nel panorama sociale e politico del nostro Paese, sino a conquistare la ribalta. Lo ha fatto subdolamente, non entrando dall’ingresso principale, ma passando all’inizio da una porticina laterale. Adesso però è qui, sul palcoscenico della politica, e tocca farci i conti.
«iFamNews» ne ha parlato in numerose occasioni, raccontando tappa per tappa questo percorso, confrontando la realtà italiana con quella di altri luoghi in cui la deriva è già presa e pare tristemente inevitabile.
La differenza dell’Italia è che da noi è ancora possibile opporsi a un progetto di legge che, inutile negarlo, se approvato, manderebbe a quel tal paese i tanti sforzi della società civile, l’impegno strenuo dei medici e del personale sanitario impegnato nel campo delle cure palliative, il cuore di molti malati e quello straziato dei loro cari.
«iFamNews» si è impegnato a sostenere con i propri mezzi, quelli cioè delle parole scritte su queste colonne virtuali, chi abbia ingaggiato contro tale ingiustizia una battaglia che, per quanto impari, è sacrosanta e non ancora disperata.
Fra questi, vi è il Centro Studi Rosario Livatino (CSL), che ha pubblicato, per i tipi della casa editrice senese Cantagalli, un volume a cura di Alfredo Mantovano, magistrato, fra l’altro consigliere della Corte di Cassazione, nonché vicepresidente del CSL, dal titolo Eutanasia. Le ragioni del no. Il referendum, la legge, le sentenze. Il testo raccoglie contributi di Francesco Cavallo, Francesco Farri, Carmelo Leotta, Andrea D.M. Manazza, Domenico Menorello, Daniele Onori, Roberto Respinti, Mauro Ronco, Giuliana Ruggieri, Angelo Salvi, Aldo Rocco Vitale, giusperiti a vario titolo impegnati, anche attraverso il CSL, nella buona battaglia a difesa dei princìpi non negoziabili sul piano eminentemente giuridico, ed è strumento decisamente utile per intervenire chirurgicamente, e appunto in punta di diritto, sull’ideologia di morte che sta aggredendo il nostro Paese.
Dopo l’uscita del libro, il «testo unico Bazoli», oggi in discussione in Aula dopo essere stato approvato dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali, è stato modificato, specie nella parte che riguarda l’obiezione di coscienza, quasi con uno “sgambetto”. Di questo aspetto, e di altri, «iFamNews» parla con Carmelo Leotta, avvocato del foro di Torino e professore associato di Diritto penale nell’Università Europea di Roma, contributor del volume edito dal CSL.
Avvocato Leotta, vuole far luce su questa parte del cammino legislativo del testo?
In realtà, il fatto che in fase di lavori parlamentari a un progetto di legge vengano apposte modifiche è cosa all’ordine del giorno. Così è accaduto anche rispetto al cosiddetto testo unificato in materia di proposta legislativa sulla morte volontaria medicalmente assistita, che nella sua ultima versione porta la data del 9 dicembre 2021.
Su tale testo, che unifica le proposte di legge nn. 2, 1418, 1586, 1655, 1875, 1888, 2982 e 3101, le Commissioni permanenti II (Giustizia) e XII (Affari sociali) della Camera hanno deliberato di riferire favorevolmente all’Assemblea. Il 13 dicembre è così iniziata la discussione all’Assemblea della Camera; il resoconto stenografico si può leggere sul sito stesso della Camera.
Il testo unificato base, oggetto di esame da parte delle Commissioni Giustizia e Affari sociali, era stato adottato invece il 6 luglio ed è su questo testo del luglio scorso che si basa il commento del libro del CSL.
Vi sono altre criticità rispetto alle modifiche apportate al testo del disegno di legge?
Senza voler anticipare i commenti che gli autori delle singole parti del libro proporranno, si può dire che senza dubbio permangono, nel testo presentato per l’esame in Assemblea, le criticità strutturali che già erano presenti nel testo unificato del mese di luglio. Infatti, entrambi si muovono chiaramente nella direzione di introdurre una deroga al principio di indisponibilità della vita umana, a fronte di una patologia irreversibile e a prognosi infausta ovvero di una condizione clinica irreversibile.
Una simile prospettiva è gravemente offensiva del diritto alla vita, perché fa prevalere rispetto a tale diritto un requisito di qualità della stessa che giustifica, secondo l’impianto della proposta, la legittimità di una richiesta di morte.
Sul punto, il testo adottato il 9 dicembre sembra ancora più preoccupante rispetto al precedente. Infatti, l’art. 5, comma 8, prevede espressamente che se il medico cui è indirizzata la richiesta di morte medicalmente assistita ritenga di non dare seguito alla richiesta (vale a dire di non trasmetterla al Comitato per la valutazione clinica) oppure se lo stesso Comitato dà parere contrario in merito, il paziente richiedente la morte possa ricorrere dinnanzi all’autorità giudiziaria. Il testo della proposta non precisa né se si tratti di un giudice amministrativo o di un giudice civile né quali siano i poteri di tale giudice. Tuttavia, prevedere la possibilità di un ricorso segnala con ogni evidenza che l’intento del legislatore sia quello di qualificare la richiesta del paziente come un atto meritevole di tutela giurisdizionale e di assegnare l’ultima parola sul punto direttamente all’autorità giudiziaria. È significativo, inoltre, che tale giudizio non preveda neppure la partecipazione del pubblico ministero.
Quali sono i progetti del CSL per aiutare i lettori a restare al passo rispetto al cammino legislativo di un disegno di legge di tale importanza per il nostro Paese?
Il Centro Studi procederà a partire dal mese di gennaio a un’opera di costante monitoraggio e aggiornamento dei lavori parlamentari sulla proposta di legge sulla morte medicalmente assistita.
In particolare è importante segnalare l’introduzione all’art. 6 dell’obiezione di coscienza, una norma scritta sulla falsariga di quella in materia di aborto, la Legge 194/1978. Tale previsione, se da un lato sembra rassicurare la libertà degli operatori sanitari che non intendano prendere parte alla procedura di morte medicalmente assistita, dall’altra è assai preoccupante, per due motivi.
Da una parte segna una trasformazione del ruolo del sanitario che non è più in vista della vita e della salute, ma, salvo l’esercizio del diritto di obiezione, può essere esercitato anche in vista della morte della persona.
Secondariamente, il comma 4 dell’art. 6 prevede espressamente che gli enti ospedalieri pubblici siano tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure eutanasiche. Ciò potrebbe comportare limitazioni all’esercizio stesso del diritto di obiezione di coscienza, per esempio prevedendo, nell’espletamento delle procedure concorsuali, che un titolo preferenziale sia la disponibilità del sanitario a non essere obiettore.
Inoltre, la previsione dell’obiezione non fa altro che confermare, a dispetto di quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza sul caso Cappato, la n. 242/2019, che la richiesta di morte assurga, nell’impianto della proposta di legge, a vero e proprio diritto soggettivo: dinnanzi a tale richiesta, in assenza dell’esercizio del diritto di obiezione del medico, esiste, infatti, in presenza delle condizioni di legge per accedere alla procedura di morte, un vero e proprio obbligo in capo al sanitario di darvi seguito. Non era questa la prospettiva della Corte Costituzionale che, infatti, si era limitata a prevedere una ipotesi di non punibilità per il medico che, liberamente, avesse scelto di cooperare al suicidio assistito del malato.
A conclusione della conversazione con l’avvocato Leotta, «iFamNews» invita i lettori ad approfondire la materia proprio attraverso il libro curato da Mantovano e a seguire il Centro Studi Rosario Livatino per gli aggiornamenti previsti sul tema eutanasia in Italia. E conclude come il volume inizia, citando cioè Lucien Israel (1926-2017), uno dei pionieri dell’oncologia in Francia, non credente, presidente dell’Accademia francese di Scienze morali e politiche e insignito della Legion d’Onore.
«L’eutanasia legalizzata rappresenta la rottura del legame simbolico tra le generazioni. Figli, nipoti e, oramai, pronipoti, visto che stiamo per diventare una società a quattro generazioni, sapranno che ci si può sbarazzare dei vecchi. […[ Quando i “vecchi” non serviranno più, che siano depressi o che ancora non abbiano trovato il reparto medico in grado di non farli soffrire, si deciderà che è tanto semplice, e persino più caritatevole, sbarazzarsene».
Come l’attualità insegna, non solo i vecchi, non solo loro.