Last updated on Giugno 14th, 2021 at 07:50 am
«Scriviamo per richiedere alla Food and Drug Administration (FDA) di revocare l’obbligo, inutile dal punto di vista medico, di distribuire di persona il mifepristone, un farmaco da ricetta che da più di vent’anni il nostro Paese utilizza per mettere fine in sicurezza alle gravidanze appena iniziate. L’imposizione di questo obbligo nel mezzo di una pandemia mortale – una pandemia che negli Stati Uniti d’America ha avuto un impatto sproporzionato sulle comunità di colore – mette inutilmente in pericolo sia i pazienti sia gli erogatori, approfondendo ancora di più le già antiche disuguaglianze di trattamento sanitario».
Si apre con questo tranquillo linguaggio nazista la lettera inviata il 2 febbraio dal Committee on Oversight and Reform della Camera dei deputati degli Stati Uniti dell’era Biden, che è il principale organismo di vigilanza della “camera bassa” del Congresso federale di Washington, a Janet Woodcock, Commissario ad interim della Food and Drug Administration, l’Agenzia per gli alimenti e i medicinali, per chiedere la liberalizzazione dell’aborto fai-da-te che benemeritamente l’Amministrazione Trump aveva impedito.
E la Woodcock? Con una lettera inviata all’American College of Obstetricians and Gynecologists e alla Society for Maternal-Fetal Medicine il 12 aprile dice di pensarla allo stesso modo. Presto, dunque, anche gli Stati Uniti di Biden entreranno nella lista dei Paesi dove una mamma potrà ammazzare il bimbo che porta in grembo nella solitudine della propria camera, in bagno o in salotto.
Perché è nazista il linguaggio piano della Commissione di vigilanza della Camera statunitense? Perché un organismo tanto importante del Paese più importante del mondo nemmeno arrossisce nello scrivere nero su bianco «mettere fine in sicurezza alle gravidanze appena iniziate», ammissione spietata di un orrore perfettamente visibile sotto il baby-doll del linguaggio fintamente tecnico, arma suprema dei piccoli signor Friedman dal male banalmente burocratico. Ma, siccome la verità delle cose non riesce ad ammazzarla nemmeno la meglio costruita cospirazione della bugia, questi operai dell’orrore pop si denudano alla vista di tutti: il mifepristone mette fine alle gravidanze, cioè il mifepristone uccide esseri umani, con buona pace di chi ancora lo chiama “contraccettivo di emergenza”.
Tranquilli tutti, comunque, perché se anche la verità emerge sempre, le menzogne smaccate non mancano nemmeno nella stessa frase «mettere fine in sicurezza alle gravidanze appena iniziate». Sicurezza? Quale? Di chi? Delle madri il cui rischio è documentatamente serio? O del bambino, quello che muore, unica vittima certamente innocente di una pena capitale decretata per non avere commesso alcunché?
C’è poi una seconda bugia, che ribalta addirittura il buon senso, dicendo che «l’imposizione» dell’«obbligo» di «distribuire di persona il mifepristone» nel «mezzo di una pandemia mortale […] mette inutilmente in pericolo sia i pazienti sia gli erogatori». Il pericolo non è, cioè, una pillola che una mamma ingolla come un cachet per uccidere l’essere umano che porta nel proprio grembo, bensì sarebbe il non poter fruire al telefono, via smartphone o tablet di un così perfetto pesticida antiumano in cambio di pochi spiccioli.
Infine, dato che han le gambe corte, le bugie debbono correre il doppio ed è per questo che in così poco spazio ve n’è una terza clamorosa: la «pandemia» da CoViD-19 «ha avuto un impatto sproporzionato sulle comunità di colore negli Stati Uniti». In una lettera, come quella citata, scritta e firmata dall’importante Commissione di vigilanza della Camera del Paese più importante del mondo con tanto di note a piè di pagina, sarebbe stato importante fornire la fonte di una enormità di questa portata che attribuirebbe al nuovo coronavirus una volontà razzistica, ma soprattutto sarebbe meglio tacere di fronte al fatto che – lo dice e lo ripete da anni Alveda King, nipote pro-lifer di Martin Luther King (1929-1968) – sono proprio le comunità di colore le vittime maggiori dell’aborto.
Ma il nazismo più crudo è dire che l’«obbligo» di «distribuire di persona il mifepristone» sarebbe «unnecessary», «inutile dal punto di vista medico», definendo freddamente il mifepristone un «farmaco». Parto dalla fine. Esiste una sottile quanto importante distinzione fra «farmaco» e «medicamento»: il primo induce modificazioni funzionali sia positive sia negative in un organismo vivente, laddove il secondo agisce a scopo terapeutico contro una patologia. Ma così si fa solo dell’accademia: la sostanza è sostenere che un prodotto il cui scopo e ragione d’essere unici sono la soppressione di quell’essere umano che una mamma porta nel proprio grembo da parte di quella stessa mamma sia un preparato qualitativamente equiparabile a un medicamento. Ovvero che la gravidanza, per qualsiasi motivo definita indesiderata, sia equiparabile a una malattia.
Ora torno all’inizio. Chi affermi che «distribuire di persona il mifepristone» è «inutile dal punto di vista medico» riduce il medico a un prescrittore meccanico di prodotti che non solo non s’interroga sulla loro natura, sul loro impiego, sul loro scopo, su chi li assume, sulle sue intenzioni, ma che nemmeno deve sognarsi di farlo. Il medico, insomma, come l’ennesimo Monsù Travet che esegue soltanto gli ordini ricevuti. Fine, cioè, assieme al bambino ammazzato e alla mamma distrutta, del medico: il professionista il cui scopo non è guarire, cosa che non è in suo potere fare, ma curare (avere cura) della persona. Con buona pace della retorica progressista contro la vendita e il porto liberi di armi negli Stati Uniti, tanto vale disseminare le città di dispenser per ogni tipo di droga, veleno e pesticida, risparmiando pure sullo stipendio dei medici-automi.