CoViD19 e maiali: la «buona morte» non esiste

Negli allevamenti statunitensi per il coronavirus saranno uccisi milioni di animali e i grandi giornali scoprono il vero volto dell’eutanasia

La Terra raffigurata come il coronavirus

Image by Miroslava Chrienova from Pixabay

Last updated on Giugno 4th, 2020 at 03:33 am

«Soffocati con la schiuma, annegati, infilzati». Non si va al risparmio con i particolari per descrivere ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti d’America. A causa del lockdown imposto per limitare il contagio da CoViD-19, la maggior parte dei mattatoi statunitensi è stata chiusa. E gli allevamenti sono stati costretti ad applicare l’eutanasia sugli animali. Impossibile conoscere oggi i dati precisi, ma si parla già di milioni di animali uccisi. Con sgomento, diversi giornalisti scoprono ora che la «buona morte» di buono non ha proprio nulla.

10 milioni di maiali eutanasizzati

Il The Guardian parla di oltre 10 milioni di maiali che saranno sottoposti a eutanasia entro settembre. La giornalista Sophie Kevany descrive ai lettori del quotidiano britannico i metodi attraverso i quali agli animali è amministrata la buona morte: alcuni maiali sono rinchiusi in camere in cui viene fatto circolare un gas letale, altri ricevono punture con un sovradosaggio di farmaci anestetici, altri ancora subiscono non meglio specificati «traumi da forza contundente». Non da ultimo, ci sono allevamenti che hanno deciso di spegnere gli impianti di ventilazione che portano aria nelle stalle, così da uccidere gli animali per soffocamento. L’organizzazione statunitense Mercy for Animals ha lanciato un ulteriore allarme: «Due milioni di polli da carne e 61mila galline ovaiole sono stati eutanasizzati nelle fattorie». Con loro sono state distrutte migliaia di uova, molte delle quali a pochi giorni dalla schiusa.

Azioni dure. Chi non rimane disgustato a immaginare migliaia di polli chiusi in un capannone nel quale viene iniettato un mix di anidride carbonica e nitrito di sodio? Chi non inorridisce nell’immaginare centinaia di galline annegate in una schiuma simile a quelle utilizzate per spegnere gli incendi?

Eutanasia suina vs. eutanasia umana

Di eutanasia però non si scrive sempre con questi aggettivi. L’eutanasia, la «buona morte», compare solitamente sui grandi giornali come soluzione, come sollievo, come parola «fine» su una malattia dolorosa. Vale la pena spendere due minuti per ricordare l’atteggiamento della stampa mainstream nei confronti di Vincent Lambert (1976-2019), per esempio. Vincent, in stato di coscienza minima dopo un grave incidente, respirava da solo, cercava con lo sguardo i suoi genitori, sorrideva, piangeva. L’intervento medico diretto per la sua sopravvivenza, dato che tutti gli organi vitali funzionavano normalmente, era limitato a un sondino gastrico per la nutrizione.

I medici e i giudici hanno deciso che la qualità della vita di Lambert non era sufficientemente alta: dunque, contro il parere dei suoi genitori, doveva essere ucciso tramite eutanasia. La «dolce morte» è stata praticata, davanti agli occhi impotenti dei suoi due anziani genitori, rimuovendo il sondino gastrico e avviando una sedazione profonda.

Vincent, «il malato terminale» e «disabile gravissimo» e «in fin di vita», come si leggeva sulla maggior parte dei giornali europei, ha resistito otto giorni senza né acqua né cibo. Ha resistito alle labbra che si spaccano per l’arsura, ai crampi, alla febbre, al blocco renale. Ha resistito per otto giorni a tutte le terribili reazioni che il corpo attua quando rimane senza acqua e senza cibo. Quelle stesse reazioni che Lucia Bellaspiga ha descritto fedelmente su Avvenire, raccontando l’agonia di Eluana Englaro (1970-2009) nel 2009, quelle stesse reazioni che Oriana Fallaci ha riportato senza filtri in un’intervista al Foglio, raccontando l’agonia di Terri Schiavo (1963-2005) nel 2005.

O il pensiero unico o il silenzio

Non è forse successo lo stesso nel 2017 con Charlie Gard (2016-2017) e nel 2018 con Alfie Evans (2016-2018)? Entrambi i bambini, seppur a causa di patologie diverse, avevano bisogno di un ventilatore che li aiutasse a respirare. Per loro, la «dolce morte» è arrivata sotto forma dello spegnimento del ventilatore, e ancora una volta genitori impotenti hanno assistito alla morte dei loro figli. La morte per soffocamento, una delle più orribili. Però nessun grande giornale ha riportato i dettagli.

Chi ha rilanciato Avvenire quando, sempre a firma Bellaspiga, ha raccontato che le mani di Eluana presentavano i segni delle unghie conficcate nella carne? Pugni strettissimi per una sofferenza indicibile? Chi ha scritto che il piccolo Alfie ha guardato i genitori negli occhi e poi il suo visino si è fatto pian piano tutto blu? E loro non potevano che assistere immobili, in silenzio, perché la stanza era presidiata da vigilantes privati assoldati dall’ospedale, perché soffocare nel cuore le loro grida di rabbia e dolore era l’unico modo per poter stare vicino al piccolo nei suoi ultimi minuti di vita.

E allora sì, siamo turbati per la fine terribile che attende i maiali, i polli e le galline degli allevamenti americani. Ma questa è un’indignazione rassicurante, perché tutti bene o male ci troviamo d’accordo. Qualche minuto di sconcerto, magari un paio di hashtag di protesta, ed è finita lì. L’eutanasia verso i malati, i disabili, l’eutanasia imposta anche contro il volere dei parenti più stretti, è una realtà. È una realtà che si sta diffondendo a grande velocità nei Paesi più sviluppati e civili. E il fatto che venga taciuta, ignorata, o addirittura raccontata attraverso rasserenanti bugie fa ancora più paura dell’atto stesso. E più viene nascosta più fa paura. E alla paura (comprensibilissima) di affrontare la possibilità della malattia, si somma la paura di affrontare discorsi politicamente scorretti. Non è da apericena Vincent Lambert, non sono da pausa alle macchinette Charlie Gard e Alfie Evans, non è da passeggiata in centro Eluana Englaro. Non sia mai che l’umano si ridesti e provi a evadere da questa prigione che libera il corpo mentre incatena il pensiero. Davanti a un caffè, meglio dirsi tutti sconvolti per la fine tremenda di un pollo americano. Tanto più tardi ci ritroviamo sereni in pausa pranzo al fast food e tutto passa.

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