Last updated on Settembre 25th, 2020 at 01:41 am
Oltre 500 giorni in piedi, davanti al palazzo del governo. Una manifestazione continuata senza sosta, di giorno e di notte, anche durante il lockdown imposto per l’emergenza coronavirus. Accade a Seoul, in Corea del Sud, dove quasi due anni fa è iniziato il conto alla rovescia per la revisione della legislazione sull’aborto. Attualmente l’aborto è proibito, salvo casi di violenza sessuale, incesto, malattie genetiche del nascituro o rischi per la salute della madre. Questa legge però, come stabilito dalla Corte Costituzionale, deve essere modificata entro la fine del 2020.
Le maglie dell’aborto si devono dunque allargare, ma la comunità cattolica non ci sta. E scende in piazza. Il primo allarme è arrivato da don Hugo Park Jung-woo, segretario generale del Comitato per la vita dell’Arcidiocesi di Seoul, che, in un’intervista, ha dichiarato: «Possiamo alzare la nostra voce per fare nuove leggi o nuove politiche per aiutare le donne a scegliere il parto invece dell’aborto. Questa è la nostra strategia».
Pro-lifer e Chiesa Cattolica alleati
L’obiettivo del mondo cattolico e dei pro-lifer sudcoreani, infatti, dato che la modifica alla legge è ormai inevitabile, è quello di ottenerne una revisione ispirata dalla difesa della vita. La vita di tutti, ovviamente, ma in modo particolare quella dei più fragili e indifesi: i bambini non nati.
L’intera Arcidiocesi di Seoul però è entrata a gamba tesa nel dibattito. Ed è CNA, l’agenzia di news cattolica, che dà notizia di questo impegno per la vita. Una delegazione di otto vescovi si è recata nella Blue House, la residenza del presidente sudcoreano, Moon Jae-In, per chiedere che la nuova legge preveda un sostegno per le donne spinte ad abortire, qualcuno insomma che dica loro che l’aborto non è l’unica soluzione, che non sono sole di fronte alle incognite del futuro. Ma anche responsabilità finanziaria per i padri biologici, che sarebbero chiamati così a sostenere economicamente la mamma e il bambino, e la possibilità che le donne partoriscano nell’anonimato per poi dare il bimbo in adozione piuttosto che sopprimerlo. Nel Paese vige infatti ancora una cultura che emargina le donne che affrontano una gravidanza senza essere sposate. Curioso, invece, ma non inedito, il silenzio del femminismo su questa visione della donna, che può essere usata dall’uomo come oggetto del proprio piacere, ma che poi deve essere costretta ad abortire per evitare la condanna sociale.
Ancora una volta, sulle spalle della donna cade insomma un peso enorme, perché le conseguenze economiche, fisiche, psicologiche dell’aborto non riguardano minimamente l’uomo. Lo ha ricordato pubblicamente anche James Sang-Hyun Shin, medico e fratello religioso della comunità di Kkottongnae: «La legge riveduta significherà che il governo coreano ha rinunciato ai propri doveri di protezione delle vite dei nascituri», dice. «Questo porterà inevitabilmente a una cultura che sminuisce la vita, lasciando molte donne a portare il fardello del trauma post-abortivo per il resto della vita».
Aborto legale e libertà minacciata
A rischio c’è però anche l’obiezione di coscienza, ricorda Courtney Mares, giornalista di CNA: se la legge dovesse essere riveduta in chiave abortista, tutti i medici sarebbero infatti costretti a praticare l’aborto, indipendentemente dalle proprie convinzioni. Chi dovesse rifiutarsi, potrebbe addirittra perdere il lavoro. Anche per questo il movimento per la vita è in costante contatto con la Chiesa Cattolica, alla quale Shin chiede inoltre di «lottare per creare un clima in cui si sceglierà di dare alla luce i figli, un clima in cui non si sceglierà l’aborto».
Un impegno sorprendente, questo, soprattutto se si considerano i dati. Dei 51 milioni di sudcoreani, solo 5 milioni si dichiarano cattolici. Davide contro Golia.
In campo è scesa peraltro anche l’Associazione pro-vita degli studenti, che ha appena consegnato un accurato report della situazione del Paese a monsignor Alfred Xuereb, nunzio apostolico in Corea. La loro speranza è che tutta la documentazione, già tradotta in italiano e inglese, giunga al più presto sul tavolo di Papa Francesco, di modo che il Vaticano possa intervenire per scongiurare l’approvazione di una legge funesta.
Nel 2014, durante il viaggio che compì in Corea del Sud, il Pontefice aveva del resto deciso di visitare un cimitero dove riposano i bambini abortiti voluto proprio dalla comunità di Kkottongnae. Un gesto forte, che il Papa aveva voluto ripetere anche a Roma il 2 novembre 2018, in occasione della Commemorazione dei fedeli defunti, durante la visita al cimitero Laurentino. Qui, il pontefice si era fermato in preghiera nel Giardino degli Angeli, deponendo un mazzo di rose bianche.
La veglia continua
Intanto continua la manifestazione silenziosa davanti al palazzo del governo: a partire dal 12 marzo 2019, un gruppo di 40 volontari si sta avvicendando per garantire che ogni giorno, a ogni ora del giorno e della notte, vi sia una persona in strada sotto le finestre del palazzo del potere. Una presenza simbolica, silenziosa e pacifica, la veglia della sentinella che attende l’alba controllando le incursioni nemiche. Il pericolo, infatti, ricordano le associazioni pro life, è che il dibattito sulla difesa della vita finisca silenziato nell’opinione pubblica.
«Fino a ora, anche se il diritto penale vigente nel Paese proibisce l’aborto, le persone non vi badano perché hanno perso la coscienza della dignità della vita», racconta ancora don Hgo Park Jung-woo. L’aborto clandestino si è così diffuso nel Paese, ma la sua legalizzazione sarebbe solo una falsa risposta. Park, e con lui migliaia di persone, non ha intenzione di arrendersi: «Anche se una legge nazionale consentisse l’aborto, la legge della nostra coscienza non lo consentirà».