#cistodentro: quando il pensiero non basta

Il Dipartimento per le politiche della famiglia “pensa” ai bambini chiusi in casa: meno di così…

#cistodento Dipartimento per le politiche della famiglia

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Last updated on aprile 10th, 2020 at 07:18 am

Più di un mese è passato dal primo caso conclamato di CoViD-19 in Italia, il 21 febbraio, a Codogno. Ci sono bambini che sono usciti di scuola quel venerdì come se fosse un giorno qualsiasi, ignari di quanto sarebbe accaduto e da allora a scuola non sono più rientrati. Non solo i bambini delle “zone rosse” della prima ora, ma tutti i bambini lombardi, che alle vacanze di Carnevale hanno visto succedersi, senza soluzione di continuità, la chiusura delle scuole. Non hanno salutato la maestra, gli amici. Se hanno dimenticato qualcosa sotto il banco, è ancora lì.

È trascorso più di un mese: non chiedono nemmeno più «quando si torna a scuola?», hanno capito che si tornerà chissà quando. Da più di quindici giorni i medesimi bambini non vanno nemmeno più al parco, non incontrano neanche da lontano gli amici. Possono vederli solo su Skype, o simili, ma non possono correre insieme sull’erba, sfidarsi con le biciclette, giocare a nascondino. Molti non possono uscire del tutto, se vivono in condominio ringraziano di avere un balcone – chi l’avesse – dove almeno prendere un po’ d’aria, salutando l’inizio di questa primavera strana. Ci sono supermercati che ne vietano l’accesso dimenticando l’esistenza di genitori impossibilitati a lasciarli a casa, e che pure avranno bisogno di far la spesa. Ma nel clima da romanzo distopico in cui stiamo vivendo, dove esistono persino app per segnalare assembramenti, i bambini arrivano a essere considerati “untori”  (taglio di agenzia che il Giornale ha sentito la necessità di riportare quasi letteralmente), fino ad arrivare a gesti di pura follia.

Con il divieto assoluto di uscire di casa se non per motivi di lavoro, salute e “assoluta necessità”, qualcuno ha iniziato a occuparsi anche dei più piccoli: no, non gli animali da compagnia, di quelli ci si è occupati subito. Rilevando la sofferenza dei “bambini scomparsi per decreto”, c’è chi ha scritto al proprio sindaco, chi ha indetto petizioni, chi ha organizzato Fondi di comunità di quartiere. E c’è chi addirittura ha scritto  una lettera aperta al ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, sperando che si ricordi che essere ministro della Famiglia non significa solo attuare politiche che favoriscano il rientro precoce delle madri al lavoro dopo il parto.

Ma dunque, che ha fatto di concreto il ministero? Sul sito del “Dipartimento per le politiche della famiglia” c’è la sezione #cistodentro: è «l’iniziativa della Ministra per le pari opportunità e la famiglia per i figli che stanno a casa». Si tratta di uno strumento di contatto e di dialogo, dove le famiglie possono esprimere difficoltà e trovare risposte? Un luogo dove siano raccolte le informazioni più importanti sui decreti emessi e sulla loro applicazione per quel che concerne la vita quotidiana? Magari un suggerimento su come e dove acquistare quegli articoli di cancelleria la cui vendita pare ancora vietata in alcuni supermercati?

Macché: si tratta di un sito misero, dove in qualche paginetta viene raffazzonato un “riassuntino”, l’Infovirus, che con linguaggio ammiccante dovrebbe spiegare ai più piccoli cosa è il morbo, senza “spaventare troppo”, ma insieme inculcando la paura di qualsiasi contatto sociale. Ci sono poi gli inevitabili “lavoretti” – soprassediamo sullo strazio –, un elenco di «libri da leggere consigliati dai tuoi scrittori preferiti» – cioè un luogo in cui autori di libri per ragazzi consigliano i propri titoli – e uno spazio settimanale in diretta. Nel primo appuntamento è stata intervistata, chi mai?, il ministro Bonetti, capace di non dire niente, ma per ben quattordici minuti. Lo spazio Lo chiedo alla ministra raggiunge poi il nadir: «Un filo diretto con la Ministra Elena Bonetti. Un’occasione per risolvere qualche dubbio, chiedere un consiglio, dire quello che pensi, suggerire delle idee. Uno spazio per le tue domande e per le sue risposte!». “La Ministra” vuole rivolgersi direttamente ai bambini, ovviamente, dando per scontato l’uso indipendente degli strumenti informatici, che invece anche in questo momento assolutamente eccezionale dovrebbe continuare a essere mediato dai genitori, almeno fino ad una certa età. Non favoriscono nemmeno, le sue risposte, il dialogo e la condivisone all’interno della famiglia. Trattano inoltre il bambino come un individuo isolato, che non deve neppure abbracciare il papà, se questi è stato fuori casa: «ma giocare invece sì. Giocare non è vietato». Grazie per la magnanima concessione, “Ministra”, sicuramente le sue parole stanno rassicurando la piccola Nausicaa – 10 anni e mezzo – autrice della lettera. Forse proprio per queste risposte rassicuranti dopo più di una settimana dall’apertura il sito ha ricevuto solo tre messaggi. Significativa la risposta a Martina, anni 11, che domanda come poter acquistare il materiale necessario per fare i compiti. La risposta del ministro è un capolavoro di politichese: dando ragione a Martina, la Bonetti riesce a lodare se stessa per aver rafforzato la legge “antisprechi” che prevede la possibilità per le aziende del settore di donare prodotti in eccesso o difettosi per finalità sociali. Questa stessa “possibilità” è stata rinforzata nel decreto del 2 marzo 2020, per le “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”: le aziende potranno donare anche computer, tablet e giocattoli.

La chiosa del ministro è tutta da gustare: «Forse ti stupirà pensare che anche i ministri sanno bene che, in un momento così straordinario e importante, alcune difficoltà e nuove di solitudini, sia di voi bambini che delle vostre famiglie, si possono superare meglio con una nuova scatola di colori a casa, tanti quaderni dove scrivere e studiare anche lontani dalla scuola, giochi, computer e tablet per comunicare e lavorare meglio con chi ci sta lontano». Sì, “ministra” siamo stupiti: di fronte al bisogno attuale dei bambini, anzitutto di essere “visti”, cioè tenuti in considerazioni, ricordati, pensati, lei risponde con… nulla.

Mentre Martina è lì, in attesa che qualche azienda (di quelle chiuse, con gli operai in cassa integrazione, se va bene) le doni quella cancelleria che le serve per fare i compiti, qualcuno deve aver fatto notare al ministro che forse non basta. Ecco allora l’ultima dichiarazione: «La salute è il bene primario che dobbiamo tutelare, per tutti. Anche i bambini e i ragazzi lo stanno imparando nel rispetto delle regole. Con il prolungarsi dell’emergenza dobbiamo però organizzare modi e tempi, limitati, in cui anche a loro sia consentito uscire di casa in piena sicurezza sanitaria. Non sarà facile, chiederà ancora più responsabilità, ma siamo chiamati a prenderci cura dei nostri figli e del loro futuro sotto ogni aspetto».

Ministro, la smetta di parlare al futuro (indetermiato), e cominci a far qualcosa di concreto, ora.

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