Last updated on Settembre 24th, 2021 at 12:37 pm
Se io non avessi abortito, i Fleetwood Mac non sarebbero esistiti.
Diamine. Una arriva a 72 anni, come ci è arrivata sana e bella e brava Stevie Nicks, per dire una diavoleria come questa. Loro, i britannici Fleetwood Mac, sono una delle colonne sonore portanti degli anni 1970 e 1980; lei, Steve Nicks, è la “regina del rock” venuta da Phoenix, Arizona. Ora, la cantante impiega una righetta e mezza dell’intervista rilasciata al britannico The Guardian per dire di avere soppresso la vita del bimbo o della bimba che portava in grembo nel 1979, all’epoca in cui usciva con Don Henley, co-vocalist e batterista di un altro monumento del rock americano, gli Eagles. «Se non avessi avuto quell’aborto, sono praticamente sicura che non ci sarebbero stati i Fleetwood Mac».
L’aborto è un abominio, sempre. Forse però è persino più abominevole che una mamma, a decenni di distanza, con nonchalance dica una enormità del genere, ovvero non sappia aggiungere altro. Sacrificare il proprio figlio perché altrimenti niente dischi, niente tournée, niente jet-set.
Lo ripeto. Per convincermi, perché non riesco a capacitarmene: eliminare il proprio figlio per il successo di una rock band.
No, non è la solita solfa del sacrificare tutto alla carriera: è qualcosa di altro, di più. Stevie ricorda che all’epoca sgobbavano duro, dunque di figli nemmeno parlarne. Balle: bastava semplicemente smettere di sgobbare duro per i Fleetwood Mac, bastava mettere fine ai Fleetwood Mac. Ma (e ancora non è solo la carriera) per mamma Stevie i Fleetwood Mac erano invece un bene inderogabile, anzi il bene: «[…] sapevo che la musica che stavamo per dare al mondo avrebbe guarito il cuore di tantissima gente rendendola felice. E così mi sono detta: sai ce c’è? C’è che è una cosa davvero importante. Al mondo non esiste un’altra band che abbia ben due cantanti donne, due autrici donne [l’altra era Christine McVie]. Quella era la mia missione nel mondo». Pietà, per favore. Avrebbe fatto meglio, Stevie, a tacere, la spiegazione è terribile almeno quanto il fatto. E l’intervistatrice del Guardian niente, muta come un pesce, nemmeno una lieve increspatura del sopracciglio. E il mondo attorno pure, silenzio.
Sono passati 41 anni. Oggi il bimbo, o la bimba, che cresceva nel ventre di Stevie Nicks sarebbe adulto e invece non c’è più. Avrebbe una famiglia, sarebbe madre o padre, e Stevie sarebbe nonna, e quel suo figlio o figlia le sarebbero accanto. Sì, magari i Fleetwood Mac non ci sarebbero stati e noi staremmo parlando di una timeline alternativa dove il mondo sarebbe diverso, persino più bello per la sola piccola enorme presenza di quel bimbo o bimba che invece è stato soppresso o soppressa. Perché anche solo uno di noi fa la differenza, rende le cose migliori a prescindere. I Fleetwood Mac forse non sarebbero esistiti, ma, francamente, Stevie, echissenefrega?
Che ci fai, Stevie, alla fine della vita, della tua vita, proprio in quel preciso istante in cui scocca l’ora finale con la discografia dei Fleetwood Mac e il ricordo della tua grave dipendenza da clonazepam, il tranquillante che ti prescrissero per “uscire” dalla grave dipendenza da cocaina?
La cantante che ai Fleetwood Mac ha letteralmente sacrificato il proprio figlio o la propria figlia ha avuto un eroe, ma adesso si sente sola perché quell’eroe se n’è andato, come suo figlio o sua figlia. Era il giudice della Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America Ruth Bader Ginsburg (1933-2020), la grande paladina dell’aborto libero. «Il diritto all’aborto: è stata questa la vera battaglia della mia generazione», rievoca Stevie dicendo peste e corna di Donald J. Trump perché, sottolinea, se permanesse alla Casa Bianca si rimangerebbe il più possibile l’aborto libero, quel senso della vita di una generazione intera.
Allora il bimbo o la bimba che Stevie Nicks ha abortito è stato o stata ben più di un concerto rock. È stato il modo per dire al mondo che quella battaglia valso il senso della vita di una generazione intera, quell’autentica passione, quella bandiera, quella cultura di morte non è una pretesa teorica, bensì una concretissima scelta di vita. Un sacrificio. Mio figlio per i Fleetwood Mac: è così che la generazione combattente di Stevie Nicks dimostra al mondo di avere due attributi così.
Da sempre si rumoreggia che Stevie flirti con qualche forma di neo-stregoneria. Sarà per il suo proverbiale look fra lo zingaresco e il flower power. Più che altro è ministro ordinato della Universal Life Church, popolare fra la gente di spettacolo, che ha uno e un solo comandamento: credi in ciò che è giusto e nel diritto di chiunque di definire ciò che è giusto. Per esempio abortire tuo figlio per distillare dal calderone delle pozioni quel filtro inebriante chiamato Fleetwood Mac. Un giorno poi quei Fleetwood Mac, sul cui altare più di 40 anni fa ha sacrificato il figlio o la figlia che portava in grembo, Stevie Nicks li ha pure abbandonati, dismessi come un paio di autoreggenti glam oramai logore, o forse solo out-fashioned. L’intruglio di erbe seguente ha preso le sembianze di vinile del suo primo album solista, forse il suo più famoso, pubblicato nel 1981 con il titolo Bella Donna. Da «belladonna», la pianta detta così per il suo impiego nella cosmesi e perché è al contempo maliardamente letale. Bella, donna e, come dice Papa Francesco, sicario.