Last updated on Dicembre 9th, 2020 at 04:42 am
«Ciao a tutti, mi chiamo Arturo e sono ragazzo in gamba!». Così solitamente si presenta, nelle conferenze e negli incontri, il 27enne Arturo Mariani, scrittore, conduttore radiofonico, motivatore e mental coach.
Una vita, la sua, carica di soddisfazioni che però è iniziata con un “imprevisto”: negli screening prenatali risultò evidente che il piccolo Arturo sarebbe nato senza una gamba. Per papà Stefano e mamma Gianna nessun dubbio: quel bambino sarebbe stato accolto con la stessa gioia e con lo stesso amore dei due fratelli maggiori, Alessandro e Alessia.
Ora, tra gli amici e i familiari dei Mariani non tutti erano d’accordo con quella scelta: vivere senza una gamba sarebbe stato straziante per quel bambino, quasi un capriccio egoistico da parte dei suoi genitori. Inutile dire che quanto accaduto nei 27 anni successivi ha fatto ricredere chiunque.
Convivere con un handicap non è mai facile per nessuno: Arturo è tra quelli che ce l’hanno fatta e non era per nulla scontato. La sua vicenda personale è venuta allo scoperto cinque anni fa, con la pubblicazione della sua autobiografia.
Mariani ha militato nella nazionale di calcio “amputati”, diventando poi conduttore per l’emittente privata Radio Giovani Arcobaleno. Al primo libro ne sono seguiti altri cinque, l’ultimo dei quali, Con il piede giusto, sintetizza la sua nuova esperienza come motivatore e mental coach. Il giovane romano ha raccontato la propria esperienza a “iFamNews”.
Nel tuo ultimo libro scrivi: «La mia vita è stato un imprevisto, anche se ben accolto». Cosa intendi?
È la frase che dice un po’ tutto. I miei genitori mai avevano pensato che sarei potuto nascere con un handicap. L’unico loro pensiero era quello di avermi, dopo che mia madre, in precedenza, aveva perso tre bambini durante la gravidanza. Quindi è arrivato l’imprevisto: un imprevisto ben accolto è diventato una possibilità, un’occasione per conoscersi di più, per scoprire qualcosa di grande. In genere, nella vita, accade il contrario: gli imprevisti tendiamo ad allontanarli, ci fanno male, tendiamo a stare alla larga da tutto quello che ci fa paura, che ci blocca e che non ci fa andare avanti. Io, però, credo di essere la prova vivente di come i miei genitori mi abbiano dato la possibilità di vivere sempre nel migliore dei modi.
Per i tuoi genitori, la scelta di accogliere la tua vita, come racconti nel libro, è stata una di quelle «piccole eternità che durano un istante»…
Nella vita, a volte, quando arrivano le “chiamate” importanti, siamo sempre presi da mille cose, quindi rimandiamo sempre e sottovalutiamo le scelte importanti da fare. Quando, però, arrivano chiamate particolarmente drammatiche del tipo «Guarda, c’è un tuo parente all’ospedale, è successo questo e quest’altro…», allora interrompiamo tutto quello che stavamo facendo e corriamo. Se prendiamo forza, consapevolezza e sicurezza dentro di noi, nel cogliere le possibilità che la vita ci mette davanti, non abbiamo bisogno del dramma per arrivare a capire quanto possiamo fare. Non si può negare che per i miei genitori fu un colpo forte che hanno dovuto assimilare, prendendo consapevolezza e dicendo di sì.
È vero che, all’epoca, molte persone rimasero perplesse di fronte alla scelta dei tuoi genitori di farti nascere con un handicap?
È successo molte volte. Loro stessi mi hanno raccontato di amici – persino parenti – che dicevano: «State facendo una scelta da egoisti, pensate solo a voi stessi, vivrà una vita di dolore e sofferenza». Parole che io stesso ho vissuto sulla mia pelle. Tante persone ragionano così: la sofferenza va allontanata. Ciononostante, dico grazie a tutti coloro i quali mi hanno fatto rendere conto che è vero l’esatto contrario.
Affermi che il vero problema non siano le protesi fisiche, bensì le «protesi mentali», ovvero le «convinzioni limitanti». A cosa ti riferisci?
Porto sempre l’esempio del “senza una gamba” contrapposto al “con una gamba” e di quanto cambiare semplicemente il pensiero e il linguaggio con cui mi rapportavo mi abbia cambiato la vita. Pensare di non essere in grado, avere paura di sbagliare, avere paura di qualcosa che non è ancora avvenuto, ci rovina il presente e ci condiziona il passato. Dobbiamo quindi lavorare in primis sui nostri pensieri, costruirci domande che aprono a possibilità. È chiaro che “senza una gamba” non potevo essere né felice, né realizzato, né potevo trovare l’amore, perché mi facevo mille elucubrazioni mentali sul fatto che, con una limitazione, con una mancanza, mi concentro soltanto su ciò che non posso fare e su ciò che non posso raggiungere. Focalizzarsi, al contrario, su quello che possiamo fare o ottenere, cambia il nostro modo di vedere le cose.
Per te il sorriso non è affatto un atteggiamento di “circostanza”. Quanto è importante sorridere?
Il sorriso stimola il nostro organismo al benessere, ci trasmette sensazioni positive. Ho sperimentato sulla mia pelle che sorridere non vuol dire affatto prendere la vita con superficialità ma, piuttosto, con leggerezza. Sorridere vuol dire ironizzare su tutto ciò che ti succede e, quindi, generare una realtà differente rispetto a quella che dai per scontato. I film comici si basano proprio su quello: ironizzare sui drammi. Perché non fare lo stesso con la nostra vita?