Alle donne interessa diventare madri?

Il sistema economico italiano non mostra un grammo d’interesse verso la denatalità

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Last updated on aprile 28th, 2021 at 02:32 am

Problematiche economiche a parte, la situazione è drammatica. Secondo un’indagine demoscopica recentissima, commissionata dalla Fondazione Donat Cattin all’istituto Noto Sondaggi, la maggior parte dei giovani non immagina se stesso, un domani, come genitore.

La motivazione è chiara: da una parte si fa fatica a pensare a un futuro roseo a causa della costante diffusione di notizie pessimiste e allarmiste su ogni fronte, politico, culturale, religioso o sanitario. Dall’altra parte sono decenni che la procreazione è scoraggiata abbondantemente, dalla mentalità neomalthusiana che imperversa anche inavvertitamente, per “abitudine”, soprattutto tra i giovani, i quali, spesso, si trovano a ripetere quello che sentono da chi gestisce l’informazione.

Prima l’aborto

Se certamente ha pesato molto il fatto che lo Stato italiano abbia per anni disincentivato l’economia a favore delle nuove generazioni, lo Stato non ha neppure favorito una cultura né in generale pro vita né, tantomeno, pro bambino.

Fino a una ventina d’anni fa chiunque nominasse il rischio denatalità veniva bollato come «fascista», e non è un caso che, ogni qualvolta nel nostro Paese siano previste elezioni, la promessa più gettonata è quella di aiutare le mamme a mandare i bambini al nido. Ma ciò è contrario non solo ai più semplici dettami fisiologici (le mamme andrebbero aiutate nella pratica, facendo in modo che continuino a stare con il proprio bambino, non privando il bambino della mamma), ma anche a una cultura che promuove nei giovani una cura verso il fragile, il piccolo, insomma verso le responsabilità.

Lo rivela un’altra statistica interessante, quella contenuta nella Relazione del ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/78). Il rapporto contiene i dati definitivi sull’anno 2018 e, nonostante non si possa statisticamente risalire ai motivi veri per i quali le donne abortiscono (problemi economici?, mariti che non vogliono figli?, uso dell’aborto come contraccettivo?, costrizione da parte della famiglia?), vi sono riportati alcuni dati importanti. Le donne che abortiscono maggiormente hanno un’età nella quale si hanno le energie per essere madri: hanno cioè fra i 20 e i 34 anni. Questo deve far riflettere, riportando alla statistica citata all’inizio. La domanda principale è: alle donne interessa diventare madri? Agli uomini interessa diventare padri? E ancora: a giovani donne e giovani uomini interessa preservare la propria salute attuale per poter poi pensare di “metter su famiglia”? E infine: allo Stato italiano interessa la salute dei genitori di domani?

Poi la procreazione medicalmente assistita

La luce qui l’accende un’ennesima statistica, quella contenuta nella Relazione del ministro della Salute al parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita (Legge 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 15), pure essa relativa ai dati 2018.

Come nota una sintesi estremamente chiara e dettagliata, prodotta dall’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (AIGOC), i numeri sono sconcertanti. Oltre a conservare, congelati nei depositi, 63.740 embrioni ottenuti tramite procreazione medicalmente assistita (PMA), la fecondazione in vitro, insomma, quello che dimostra pessima gestione della tutela attuale della salute delle donne è il dato che riguarda le iperstimolazioni ormonali, che le donne ricevono per produrre ovociti (88.158 di questi prelevati e non utilizzati) e che talvolta possono essere non solo pericolose, ma anche fatali.

Il comunicato dell’AIGOC evidenzia che, in un altro recente documento fondamentale, ossia il primo rapporto dell’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS), Sorveglianza della mortalità materna, «l’11,3% delle morti materne riguarda donne che hanno concepito mediante tecniche di PMA» e conclude affermando che «il 55,4% delle donne decedute è nullipara [non ha mai avuto gravidanze, né aborti, né parti] e 10 delle 106 gravidanze esitate in morte materna sono multiple, 8 delle quali a seguito di concepimenti da PMA».

Se pure la salute degli embrioni dovrebbe destare preoccupazione generale (ma purtroppo non è così), la salute della donna deve interessare tutti. Ma come si può pensare che fra i dati qui riportati non vi sia un filo logico?

Un Paese non interessato alla natalità

Il sistema economico italiano non mostra un grammo d’interesse verso la denatalità. Se ne disinteressa tanto rotondamente da anni che, oggi, diventare genitori non interessa ad alcuno e, soprattutto, diventare madri, non interessa alle donne che hanno l’età per esserlo. Si premia chi fa volontariato in zone povere, ma non una donna che sceglie piccole pause nella propria carriera universitaria o professionale per dedicarsi alla cura della prole. Eppure ci sono donne dalla professionalità indiscutibilmente affermata che hanno più di tre figli: per esempio Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, è certamente un’indiscussa autrice e formatrice, e di figli ne ha sei.

L’amara sorpresa del passare del tempo

La questione, qui, non riguarda più solo la sostanza dell’embrione, ma fa riflettere sull’approccio materialista che si è fatto spazio nel cuore e nella mente dei giovani. Ecco l’origine vera dei numeri della “Relazione” sulla fecondazione extracorporea citata sopra, che sono altissimi e dai quali si deduce quanti morti e feriti lasci la «tecnomedicina» sul suo cammino. È paradossale il fatto che le donne che non riescono a rimanere in stato interessante hanno 36 anni, ovvero appartengono alla fascia di età immediatamente successiva a quella in cui avvengono più aborti volontari.

E il ministero della Salute lo sa bene, poiché sul sito web ufficiale dedicato all’infertilità si legge: «la fertilità delle donne diminuisce a partire dai 30 anni con un calo molto significativo dopo i 40 […] Le cause più frequenti di infertilità, sia maschile che femminile, sono rappresentate dalle infezioni sessualmente trasmesse» e poi, in un’altra sezione dedicata all’argomento, si entra nello specifico aggiungendo alcune patologie connesse (tra le quali troviamo endometriosi, sindrome dell’ovaio policistico e un’altra parte sulle infezioni sessualmente trasmesse).

Cosa raccontano i dati?

Aggregare i dati fin qui elencati si rivela a questo punto molto utile. I giovani non hanno voglia di fare figli certamente anche perché la loro voglia d’impegnarsi in un progetto futuro è minima. Pur senza colpevolizzarli eccessivamente, è necessario che i loro genitori facciano ammenda di una certa diseducazione.

Per acquisire qualsiasi livello di conoscenza bisogna peraltro adottare anche un approccio empirico. Se si ha di fronte una generazione che non solo lamenta mancanza di speranza nel futuro, ma che dopotutto non è neppure interessata né a combattere per il proprio diritto a quel futuro né per la propria salute, la colpa sta anche in chi non ha fornito un esempio.

La vera salute sessuale e riproduttiva

La cura verso la propria salute riproduttiva riguarda donne e uomini sin dalla più giovane età. A tal proposito le parole della ginecologa Raffaella Pingitore, famosa per aver portato anche in Italia le naprotecnologie, un mezzo molto interessante che coinvolge la coppia nell’affrontare in modo meno medicalizzato le cause sovramenzionate d’infertilità, hanno un grandissimo peso in questa visione amplificata, rispetto alla situazione demografica.

Le donne ignorano del tutto come preservare la propria salute. Se davvero interessasse loro evitare sia l’aborto sia la PMA prenderebbero in considerazione due alternative vere: la conoscenza della salute riproduttiva e l’educazione dei giovani alla cura dell’altro, soprattutto dei più fragili.

Quello che serve molto, molto rapidamente è una cultura della salute che chiuda con la deriva materialista ed egoista.

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