Aborto, il passo dall’estetica all’eugenetica è più che breve

Briciole di filosofia dell’eliminazione dalla società dei diversi, degli indesiderati o dei «meno degni»

Last updated on Agosto 11th, 2020 at 03:27 am

Dopo il referendum del maggio 2019, finalizzato a eliminare dalla Costituzione irlandese l’ottavo emendamento, che proteggeva il diritto alla vita fin dal concepimento, il punto successivo dell’agenda di morte liberal è stata l’Irlanda del Nord. Benché faccia parte del Regno Unito, questo Paese ha infatti una giurisdizione distinta, ragion per cui l’Abortion Act britannico del 1967 non vi trova applicazione.

Traendo vantaggio dal vuoto politico esistente in Irlanda del Nord, il cui esecutivo è crollato nel 2017 senza che si trovasse un accordo per un nuovo governo di condivisione dei poteri, Westmister ha quindi fatto passare due atti (nel 2018 e nel 2019) che regolamentano alcune questioni in corso nel Paese. Oltre a prorogare i termini di tempo per la formazione del governo, il Northern Ireland Act del 2019 ha imposto anche la legalizzazione del “matrimonio” omosessuale e una liberalizzazione ancora più estrema in tema di aborto.

Perché il nuovo regime relativo all’aborto in Irlanda del Nord è definibile «estremo»?

Perché, oltre a legalizzare l’aborto elettivo sino alla 12a settimana, il nuovo regime prevede che l’interruzione volontaria della gravidanza sia consentita in pratica in tutti i nove mesi di gestazione, non solo per ragioni che attengano alla salute fisica o mentale della madre incinta o per caso di stupro, incesto o malattie mortali del feto, ma anche in caso di malformazioni che in realtà si possono risolvere con un intervento chirurgico (per esempio labiochisi, palatoschisi o piede torto) e di condizioni compatibili con la vita quali la sindrome di Down.

In tal modo l’aborto elettivo è stato legalizzato de facto sino alla 24a settimana. Perfino l’interruzione di gravidanza decisa sulla base del sesso del nascituro è consentita senza remore sino alla 12a settimana, benché in realtà non vi siano disposizioni che proibiscano il “gendercidio” del feto sino a 24.

Ecco come potrebbe funzionare in pratica.

La donna: Buongiorno: sono incinta di 19 settimane, ma mi rendo conto che sono troppo sotto pressione per via del bambino. Penso che perderò il lavoro (oppure “mio marito/il mio fidanzato minaccia di lasciarmi”; o “penso che non riuscirò a finire l’università”; o “ho già due bambini a casa”; o “ognuno dica la sua”).

Il medico: Va bene, fissiamo un appuntamento.

In altre parole, i motivi che attengono alla salute psicologica possono essere usati per coprire praticamente qualsiasi ragione con cui ci si presenti e le donne hanno la possibilità di uccidere i propri bambini a ogni settimana della gravidanza. L’Irlanda del Nord, un Paese che una volta proteggeva la vita umana dal concepimento sino alla morte naturale, e che aveva uno dei tassi più bassi al mondo di mortalità materna, ora si trova gomito a gomito con Stati “progressisti”, dove in una stanza i medici stanno abortendo un bambino di 25 settimane, mentre nella porta accanto gli stessi professionisti fanno tutto quanto concesso dalla medicina per salvare un bimbo prematuro nato alla stessa 25a settimana.

Nel mondo non vi è un solo Paese che rendendo l’aborto facile da ottenere abbia risolto il problema delle donne incinte che perdono il lavoro, che vengono lasciate dal marito, che subiscono abusi psicologici (cosa altro è, infatti, la minaccia «Abortisci o non tornare a casa!», se non un abuso emotivo?), che vivono in condizioni di povertà, e via di seguito. L’aborto non è una soluzione ai problemi di natura sociale.

L’aborto motivato da labioschisi o palatoschisi, da piede torto o da sindrome di Down è insomma solo eugenetica applicata: l’eliminazione dalla società di chi è diverso, non desiderato o «meno degno». Chi lo difende, giustifica l’aborto affermando di stare in realtà facendo un favore a quelle persone, poiché per loro è meglio essere eliminate piuttosto che «soffrire» o avere una «qualità inferiore di vita». Proviamo però a guardare bene questa «qualità inferiore di vita» di persone nate nelle condizioni citate e che, sfuggite alle grinfie degli eugenisti, ce l’hanno fatta a venire al mondo.

Steven Gerrard, uno dei migliori centrocampisti del calcio inglese del nostro tempo, capitano sia del Liverpool sia dell’Inghilterra, è nato con il piede torto. Ha giocato 710 partite e segnato 186 gol.

Steven Gerrard

Kristi Yamaguchi, campionessa di pattinaggio di figura degli Stati Uniti d’America, del mondo e olimpionica, è nata con il piede torto e ha iniziato a praticare pattinaggio sul ghiaccio a sei anni proprio per correggere la propria disabilità.

Kristy Yamaguchi

Peyton Manning, uno dei migliori quarterback di tutti i tempi, è nato affetto da labioschisi, cosa ce però non gli ha impedito di giocare 18 stagioni nella National Football League, e di vincere due volte il Superbowl e cinque il premio di miglior giocatore del campionato annuale.

Peyton Manning

Sono nati con labioschisi, più tardi corretta chirurgicamente, l’attore britannico Tom Burke e gli attori statunitensi Joaquin Phoenix (sia labioschisi sia palatoschisi), nonché Cheech Marin, meglio conosciuto al pubblico come l’arguto collega del detective Nash Bridges.

Tom Burke, Joaquin Phoenix e Cheech Marin

Heidi Crowter, una ventiquattrenne di Coventry nata con sindrome di Down, nel Regno Unito ha lanciato la campagna Don’t Screen Us Out per dimostrare che i test di screening prendono di mira i bimbi con trisomia, i quali nel 90% dei casi finiscono in aborto. Oggi, mentre tutti parlano di diritti umani e di uguaglianza, Heidi mostra che persone come lei, lievemente diverse, sono talmente indesiderate e discriminate da non riuscire nemmeno a nascere.

Don’t Screen Us Out

Nel 2018 ho scritto un articolo, in serbo, per The Orthodox Christian Parent su come vivano le persone affette da sindrome di Down e dei risultati che sanno ottenere. La traduzione del titolo suona: «La sindrome di Down: un cromosoma in più significa meno diritto alla vita».

In una società che elimina le persone che potrebbero essere povere, che potrebbero crescere in famiglie in affido, che potrebbero godere di una «qualità inferiore di vita», che siano in qualche modo diverse da come si pensa un essere umano debba apparire e vivere, è solo questione di tempo prima che i sostenitori dell’eugenetica allunghino i tentacoli e passino dai bambini ancora nel grembo a quelli pur nati ma in difetto rispetto agli «standard più elevati».

E sì, l’aborto è l’olocausto silenzioso dell’età contemporanea.

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